mercoledì 11 marzo 2015

LA SPERANZA E LA STORIA



Care amiche, cari amici

            Riprendendo in mano l'enciclica Spe salvi di papa Benedetto XVI (che costituisce una tappa importante nel processo di formazione di chi si accosta ad Alleanza Cattolica), viene spontaneo riflettere sul tema della speranza in rapporto a quanto accade oggi nel mondo.

            Nel 2007, quando venne pubblicata, il mondo era afflitto dalle stesse malattie che lo colpiscono ancora oggi, il laicismo e il fondamentalismo. L'enciclica mette in guardia da entrambe e denuncia il fallimento delle speranze ideologiche che si sono succedute in Europa, con Lutero, il razionalismo illuminista e il comunismo.

            Essa ricorda anche come il fondamentalismo religioso, senza la ragione, porta solo fanatismo e odio, come sta accadendo con il terrorismo islamista.

            La Spe salvi però è importante anche per i cattolici. Essa denuncia l'individualismo penetrato nel modo di essere cattolici durante l'epoca moderna, quando i cattolici hanno cominciato a pensare alla propria salvezza individuale, dimenticando che ogni persona si realizza attraverso le relazioni che riesce a costruire, dalla famiglia alla comunità nazionale, e così appartiene a un popolo e alla Chiesa dentro cui si realizza la salvezza personale.

            Papa Francesco è esemplare in questo senso. Il suo Magistero è una spinta a comprendere come il credente non è tale se non dona la fede che ha ricevuto, se non cerca gli altri, la loro conversione, come per esempio ha detto pochi giorni a Milano, in Duomo, il cardinale nigeriano John Onaiyekan parlando del rapporto fra cristiani e musulmani nel suo Paese e bene ripreso dal nostro Michele Brambilla, quando ha ricordato come "i musulmani non sono impossibili da convertire".

            Certo, non è facile oggi essere missionari. Non lo è in Nigeria, dove si rischia la morte, ma non lo è neppure qui in Europa, dove bisogna vincere il rispetto umano per professare pubblicamente la fede. Eppure è l'unica strada. Una strada che aiuta giovani e anziani a trovare il significato della loro vita, e a muoversi verso le periferie esistenziali, verso i più poveri e i più sofferenti.

            Il mio augurio quindi è quello di non perdere mai la speranza e non solo quella teologale, ma anche la speranza umana in un mondo migliore, nella possibilità di costruirsi una famiglia e di vivere in una nazione a misura d'uomo e secondo il piano di Dio, come auspicava San Giovanni Paolo II.

            Per questo bisogna pregare, agire e sacrificarsi, secondo il primo adagio dell'Azione cattolica italiana, ma non bisogna contrapporre queste cose fra loro, come invece spesso accade fra cattolici anche oggi. 

            Cerco di spiegarmi. La nuova evangelizzazione è certamente il segno distintivo del cattolico secondo le indicazioni del Magistero pontificio almeno dal Concilio Vaticano II e in particolare dell'esortazione apostolica Evangelii nuntiandi del beato Paolo VI del 1975. Tuttavia, evangelizzare per la seconda volta le terre dell'antica Europa non impedisce di combattere in difesa di quanto rimane di naturale e cristiano nella nostra legislazione e nel costume. Le due cose sono complementari e non vanno dialettizzate. Quando è possibile condurre una battaglia in Parlamento, per esempio, essa va sostenuta nella società con manifestazioni e iniziative. Se è vero che vanno privilegiate le azioni rivolte alle periferie esistenziali, cioè a quegli uomini che vivono il disagio grave della povertà e della relativa sofferenza, se è vero che a queste persone va data una formazione adeguata, se vogliamo che si integrino e concorrano allo sviluppo del Paese, è altrettanto vero che in Italia, pur essendo una minoranza, i cattolici possono condurre ancora battaglie importanti e incidere sull'esito di queste ultime.

            Invece spesso accade di constatare come molti cattolici si dividano sul punto e che questo spesso comporti anche il venir meno della carità fraterna.

            Da questo punto di vista le divisioni sono una maledizione. Esse creano muri, favoriscono separazioni, divorzi, odii. La polemica sterile e velenosa è penetrata nelle nostre comunità e rischia di divorarle.

            Oltretutto la polemica scandalizza, allontana i buoni, crea dissapori. Troppi si sentono esperti di tutto ed emettono giudizi definitivi su cose che conoscono poco.

            Purtroppo sappiamo come e perché avvengono queste cose. Il sistema mediatico incita alla polemica che fa aumentare le vendite o i contatti, mentre chi favorisce un ragionamento viene considerato noioso. Da questo punto di vista la rete è un campo di osservazione straordinario per cogliere l'emotività con cui si leggono le informazioni e soprattutto si decidono le risposte.

            Da parte nostra cerchiamo di non cadere nella trappola. Cerchiamo di contare fino a dieci prima di rispondere, lasciamo perdere le polemiche che riempiono giornali e siti, tanto più velenose quanto più amichevoli erano o sono i rapporti fra chi polemizza. Cerchiamo di non imitare chi sembra sempre e soltanto alla ricerca di un nemico con cui polemizzare, quasi che il cristianesimo non avesse niente di originale e molto bello da mostrare. Allora forse capiremo che si può convincere meglio senza alzare la voce. Soprattutto, cerchiamo di capire che la polemica non strettamente necessaria, quella che nasce solo da invidia e rancore e non ha niente a che fare con la Verità, uccide la speranza, in particolare la speranza storica in un mondo migliore. "Gondor ha acceso i suoi fuochi e chiede aiuto" dice Gandalf nel Signore degli anelli. Non lasciamo che la richiesta di tanti uomini che sperano in un aiuto, più o meno consapevolmente, venga vanificata da sterili e inutili polemiche.

FONTE: Marco Invernizzi di Alleanza Cattolica

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