Care amiche,
cari amici
Riprendendo in mano l'enciclica Spe
salvi di papa Benedetto XVI (che costituisce una tappa importante nel
processo di formazione di chi si accosta ad Alleanza Cattolica), viene
spontaneo riflettere sul tema della speranza in rapporto a quanto accade oggi
nel mondo.
Nel 2007, quando venne pubblicata,
il mondo era afflitto dalle stesse malattie che lo colpiscono ancora oggi, il
laicismo e il fondamentalismo. L'enciclica mette in guardia da entrambe e
denuncia il fallimento delle speranze ideologiche che si sono succedute in
Europa, con Lutero, il razionalismo illuminista e il comunismo.
Essa ricorda anche come il
fondamentalismo religioso, senza la ragione, porta solo fanatismo e odio, come
sta accadendo con il terrorismo islamista.
La Spe salvi però è
importante anche per i cattolici. Essa denuncia l'individualismo penetrato nel
modo di essere cattolici durante l'epoca moderna, quando i cattolici hanno
cominciato a pensare alla propria salvezza individuale, dimenticando che ogni
persona si realizza attraverso le relazioni che riesce a costruire, dalla
famiglia alla comunità nazionale, e così appartiene a un popolo e alla Chiesa
dentro cui si realizza la salvezza personale.
Papa Francesco è esemplare in questo
senso. Il suo Magistero è una spinta a comprendere come il credente non è tale
se non dona la fede che ha ricevuto, se non cerca gli altri, la loro
conversione, come per esempio ha detto pochi giorni a Milano, in Duomo, il
cardinale nigeriano John Onaiyekan parlando del rapporto fra cristiani e
musulmani nel suo Paese e bene ripreso dal nostro Michele Brambilla, quando ha
ricordato come "i musulmani non sono impossibili da convertire".
Certo, non è facile oggi essere
missionari. Non lo è in Nigeria, dove si rischia la morte, ma non lo è neppure
qui in Europa, dove bisogna vincere il rispetto umano per professare
pubblicamente la fede. Eppure è l'unica strada. Una strada che aiuta giovani e
anziani a trovare il significato della loro vita, e a muoversi verso le
periferie esistenziali, verso i più poveri e i più sofferenti.
Il mio augurio quindi è quello di non
perdere mai la speranza e non solo quella teologale, ma anche la speranza umana
in un mondo migliore, nella possibilità di costruirsi una famiglia e di vivere
in una nazione a misura d'uomo e secondo il piano di Dio, come auspicava San
Giovanni Paolo II.
Per questo bisogna pregare, agire e
sacrificarsi, secondo il primo adagio dell'Azione cattolica italiana, ma non
bisogna contrapporre queste cose fra loro, come invece spesso accade fra
cattolici anche oggi.
Cerco di spiegarmi. La nuova
evangelizzazione è certamente il segno distintivo del cattolico secondo le
indicazioni del Magistero pontificio almeno dal Concilio Vaticano II e in
particolare dell'esortazione apostolica Evangelii nuntiandi del beato
Paolo VI del 1975. Tuttavia, evangelizzare per la seconda volta le terre
dell'antica Europa non impedisce di combattere in difesa di quanto rimane di
naturale e cristiano nella nostra legislazione e nel costume. Le due cose sono
complementari e non vanno dialettizzate. Quando è possibile condurre una
battaglia in Parlamento, per esempio, essa va sostenuta nella società con
manifestazioni e iniziative. Se è vero che vanno privilegiate le azioni rivolte
alle periferie esistenziali, cioè a quegli uomini che vivono il disagio grave
della povertà e della relativa sofferenza, se è vero che a queste persone va
data una formazione adeguata, se vogliamo che si integrino e concorrano allo
sviluppo del Paese, è altrettanto vero che in Italia, pur essendo una
minoranza, i cattolici possono condurre ancora battaglie importanti e incidere
sull'esito di queste ultime.
Invece spesso accade di constatare
come molti cattolici si dividano sul punto e che questo spesso comporti anche
il venir meno della carità fraterna.
Da questo punto di vista le
divisioni sono una maledizione. Esse creano muri, favoriscono separazioni,
divorzi, odii. La polemica sterile e velenosa è penetrata nelle nostre comunità
e rischia di divorarle.
Oltretutto la polemica scandalizza,
allontana i buoni, crea dissapori. Troppi si sentono esperti di tutto ed
emettono giudizi definitivi su cose che conoscono poco.
Purtroppo sappiamo come e perché
avvengono queste cose. Il sistema mediatico incita alla polemica che fa aumentare
le vendite o i contatti, mentre chi favorisce un ragionamento viene considerato
noioso. Da questo punto di vista la rete è un campo di osservazione
straordinario per cogliere l'emotività con cui si leggono le informazioni e
soprattutto si decidono le risposte.
Da parte nostra cerchiamo di non
cadere nella trappola. Cerchiamo di contare fino a dieci prima di rispondere,
lasciamo perdere le polemiche che riempiono giornali e siti, tanto più velenose
quanto più amichevoli erano o sono i rapporti fra chi polemizza. Cerchiamo di
non imitare chi sembra sempre e soltanto alla ricerca di un nemico con cui
polemizzare, quasi che il cristianesimo non avesse niente di originale e molto
bello da mostrare. Allora forse capiremo che si può convincere meglio senza
alzare la voce. Soprattutto, cerchiamo di capire che la polemica non
strettamente necessaria, quella che nasce solo da invidia e rancore e non ha
niente a che fare con la Verità, uccide la speranza, in particolare la speranza
storica in un mondo migliore. "Gondor ha acceso i suoi fuochi e chiede
aiuto" dice Gandalf nel Signore degli anelli. Non lasciamo che
la richiesta di tanti uomini che sperano in un aiuto, più o meno
consapevolmente, venga vanificata da sterili e inutili polemiche.
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