venerdì 28 marzo 2014

I VESCOVI CHE VUOLE PAPA FRANCESCO



          In riferimento al discorso tenuto da papa Francesco lo scorso 27 febbraio alla congregazione dei vescovi L’Osservatore Romano ha titolato: «Ecco i vescovi che vogliamo avere».

            Il titolo “a 9 colonne” e l’inusuale lunghezza dell’intervento sono segnali evidenti della particolare importanza che ha rivestito l’evento. Quando papa Francesco si rivolge ai vescovi  la circostanza assume sempre un certo rilievo e in  particolare questo discorso, per i toni e gli accenti usati oltre alla già citata lunghezza,  è centrale per capire la figura di pastore che il pontefice sta imprimendo nella Chiesa.   L’essenza dell’episcopato è, per Bergoglio, essere «testimone della resurrezione» .  La Chiesa non ha bisogno di teologi, conferenzieri o amministratori ma di pastori capaci di accendere la fede, tenere viva  la grande promessa scritta nel cuore di ogni fedele di riposare un giorno in Dio. Parlando ai vescovi, in contro luce, papa Francesco offre un ulteriore occasione per ribadire gli intenti del suo pontificato.

            La grande ricchezza della Chiesa, ricorda il papa, è nella successione apostolica. Nessun altro può garantire questo saldo rapporto con le origini. Questo legame è una luce per il mondo il quale invece sperimenta continuamente la rottura, il tradimento: «hanno bisogno di trovare nella Chiesa quel permanere indelebile della grazia del principio». È quindi nell’età apostolica che la Chiesa offre ciò che ha di più «alto e profondo» perché il «domani della Chiesa abita sempre nelle sue origini».  Dagli Atti degli apostoli  la Chiesa è perciò illuminata sul criterio essenziale che tratteggia il volto di colui che deve essere guida del popolo di Dio, chiamato ad essere “testimone della resurrezione”(At 1, 21-22).

            Il cuore del discorso pulsa di attributi e virtù che devono qualificare  il vescovo. Una esortazione in cui il papa lo invita a seguire lo stile e a prendere come modello il suo pontificato che punta a incantare il mondo per attirarlo a se: «Uomini custodi della dottrina non per misurare quanto il mondo viva distante dalla verità che essa contiene, ma per affascinare il mondo, per incantarlo con la bellezza dell’amore, per sedurlo con l’offerta della libertà donata dal Vangelo». Insiste ancora: «La Chiesa non ha bisogno di apologeti delle proprie cause né di crociati delle proprie battaglie, ma di seminatori umili e fiduciosi della verità, che sanno che essa è sempre loro di nuovo consegnata e si fidano della sua potenza». Parole che riecheggiano quanto disse lo  scorso 21 giungo ai nunzi quando parlò del delicato compito di collaborazione che essi  hanno nelle nomine episcopali. In quell’occasione ribadì il criterio principale che il vescovo deve avere: «E’ un gran teologo, una grande testa: che vada all’Università, dove farà tanto bene! Pastori! Ne abbiamo bisogno! Che siano, padri e fratelli, siano miti, pazienti e misericordiosi; che amino la povertà, interiore come libertà per il Signore e anche esteriore come semplicità e austerità di vita, che non abbiano una psicologia da “Principi”».

            La cura del gregge è la parola d’ordine che il papa impone al suo episcopato. E, in chiusura, non perde occasione per bacchettare quei vescovi troppo impegnati in viaggi e conferenze che distolgono il pastore dalla quotidianità della diocesi e ricorda il concilio di Trento che aveva decretato sull’obbligo di residenza: «Perciò è importante ribadire che la missione del Vescovo esige assiduità e quotidianità. Io penso che in questo tempo di incontri e di convegni è tanto attuale il decreto di residenza del Concilio di Trento: è tanto attuale e sarebbe bello che la Congregazione dei Vescovi scrivesse qualcosa su questo».

Scritto da Michele Canali

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