Care amiche,
cari amici
Cento anni fa l'Italia entrava nella
Prima guerra mondiale. Non è certo uno di quegli anniversari di cui andare
fieri. Il 24 maggio 1915, dopo avere aspettato dieci mesi prima di decidere
quale dei due fronti in guerra avrebbe offerto di più, il governo italiano
sceglieva l'Intesa e dichiarava guerra all'impero austriaco prima, e
soltanto successivamente alla Germania, con i quali era alleata dal 1882.
Con
questo gesto il Bel Paese acquisì un'immagine di inaffidabilità dalla quale è
difficile liberarsi, ancora cento anni dopo. Oltretutto, quando decise di
uscire dalla neutralità, il governo italiano e i poteri forti che spinsero per
la guerra conoscevano già come questo conflitto era diventato, in dieci soli
mesi, una guerra di trincea, che sacrificava milioni di giovani in una guerra
che non assomigliava in nulla alle precedenti, che sarebbe durata a lungo e
avrebbe coinvolto non soltanto i soldati ma tutta la popolazione.
Non era soltanto l'inutile strage,
come la definì mirabilmente e per sempre papa Benedetto XV il primo agosto
1917, ma fu una strage che ebbe conseguenze devastanti anche per chi
sopravvisse, contribuendo a cambiare il mondo in senso rivoluzionario,
favorendo l'introduzione delle ideologie di massa, l'odio nella competizione
politica, lo sradicamento dai princìpi che avevano tenuto insieme i Paesi
europei per secoli. La stessa conquista della Russia da parte del partito
bolscevico fu una diretta conseguenza della guerra, che così diede inizio alla
lunga guerra civile europea fra i due totalitarismi contrapposti, quello
nazionalista e quello comunista.
Ma il problema della Grande guerra,
come viene ancora oggi chiamata in Italia, non finì con la sua fine, ma
continua nei successivi cento anni e rimane ancora oggi. Che cosa celebriamo il
24 maggio di ogni anno? La guerra patriottica che portò a compimento il
Risorgimento? Il tradimento delle precedenti alleanze? Il trionfo del
nazionalismo?
Oppure, più ragionevolmente, una
guerra spaventosa e nefasta, senza alcuna giustificazione, inutile e dannosa
anche per i motivi che ispirarono tutti i contendenti, la prima vera e propria
guerra rivoluzionaria della storia, mondiale e totale.
Allora bisogna avere il coraggio di
spiegarlo, a cominciare dalla scuola e dalle istituzioni, e preoccuparsi di
cercare la vera identità su cui potere costruire il sentire comune della
nazione. Non dovrebbe essere difficile se soltanto fossimo capaci di alzare gli
occhi in qualsiasi città della nostra terra, guardando uno dei tanti campanili
che coprono il territorio e non mancano neppure nel paese più piccolo. Vedremo
le cattedrali romaniche e gotiche, le chiese barocche, ma anche quelle moderne,
costruite con gusto e senza la volontà di essere trasgressivi a tutti i costi,
una malattia che ha colpito anche l'architettura religiosa recente. Ma vedremo
anche delle case normali, a misura d'uomo, con la sola eccezione dei casermoni
in stile sovietico che sono stati costruiti nelle periferie delle grandi città,
quando il socialismo andava di moda. Dentro ognuna di quelle case c'è ancora
una famiglia, maltrattata come dice Papa Francesco, ma che vive e combatte per
la propria esistenza. E fino a prova contraria fondata sull'unione di un uomo e
di una donna che hanno il coraggio di mettere al mondo dei figli.
Bisogna farlo bene e presto, perché
la dittatura del relativismo penetra e corrode il corpo sociale. In gioco non
c'è il passato, che non può cambiare, ma il futuro dell'Italia, dove i pochi
figli che nascono hanno il diritto che venga loro proposta una lettura più
autentica della storia della loro patria.
FONTE: Marco Invernizzi di Alleanza Cattolica
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