giovedì 21 maggio 2015

CAPIRE LA CRISI



Parte 1
La crisi rappresenta l'epilogo di una finanza fuori controllo.

            L'invecchiamento della popolazione nelle aree più ricche del pianeta è certamente un'altro elemento di forte instabilità, ma ha avuto un ruolo assai rilevante anche la speculazione internazionale, con il distacco sempre più evidente dai parametri dell'economia reale, 

        così come l'assenza di autorità di controllo adeguate, la carenza nei meccanismi globali di governo dei problemi, la mediocrità della classe politica, l'eccesso di libertà d'azione concessa agli operatori economici, la scarsa o l'eccessiva presenza dello Stato nell'economia o persino la burocrazia e la corruzione.

            Nessuna spiegazione, tuttavia, è così soddisfacente e cristallina come quella che porta a identificare il vero focolaio della crisi in uno stato preciso dell'animo umano: l'avidità.

            L'avidità umana è da più parti indicata quale vero fattore scatenante della crisi, oltre che responsabile della deriva di un certo tipo di capitalismo. Ma l'avidità, diranno ancora gli scettici, non si può misurare, controllare, rilevare, non la si può nemmeno fermare o sanzionare. Dunque, a che serve incolparla per questa crisi? Invece è riconoscibilissima, nelle azioni delle persone e delle istituzioni, molto più visibile o incomprensibile, a uno sguardo onesto ed educato alla giustizia, di un prodotto finanziario strutturato, di un derivato o di un mutuo ad alto rischio. E' un fattore di pericolo potentissimo per l'economia e la società, un virus che ciascuno può scovare, molto prima che il suo dilagare produca effetti negativi. 

            Tanto per spiegarci, l'avidità è una forma di deriva morale peggiore dell'egoismo, peraltro considerato virtù da una radicata scuola di pensiero. Nella visione trasmessa da uno dei padri della politica economica, Adam Smith, è proprio l'egoismo, inteso come individualismo, il vero motore dello sviluppo, la molla capace di generare ricchezza personale e, in una condizione di libero mercato, maggior benessere per tutti.

            E' una prospettiva parziale e riduttiva dell'uomo: l'esperienza ha insegnato che gli esseri umani, nella ricerca della felicità individuale, non sono mai stati in grado di riprodurre come si deve le condizioni ideali nelle quali rendere produttivo l'egoismo.

            L'egoismo, però, può arrivare ad accogliere il concetto di lealtà, di rispetto dell'avversario, di onestà, nel tentativo di perseguire il proprio profitto personale. E, per esteso, quello della collettività. L'avido no. L'avidità, versione moderna dell'avarizia, è distruttiva. Fa il vuoto attorno a sé.

            E' sempre l'avidità a indurre le persone o le imprese a voler vivere di rendita - che sia piccola o grande poco conta - rinunciando a produrre onesti profitti, a investire per creare sviluppo e benessere diffuso. E c'è l'avidità dietro la corruzione, l'evasione fiscale, gli oligopoli, le intese che restringono la concorrenza, il mito dell'assistenzialismo. Nella truffa verso i clienti di una banca, come nella ricerca ossessiva di un investimento che assicuri rendimenti - chissà come - molto superiori alle condizioni di mercato.

 FONTE: Titolo: Capire la crisi; Autore: Massimo Calvi; Editore: Rubbettino

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