Parte 1
La crisi
rappresenta l'epilogo di una finanza fuori controllo.
L'invecchiamento della popolazione
nelle aree più ricche del pianeta è certamente un'altro elemento di forte
instabilità, ma ha avuto un ruolo assai rilevante anche la speculazione internazionale,
con il distacco sempre più evidente dai parametri dell'economia reale,
così
come l'assenza di autorità di controllo adeguate, la carenza nei meccanismi
globali di governo dei problemi, la mediocrità della classe politica, l'eccesso
di libertà d'azione concessa agli operatori economici, la scarsa o l'eccessiva
presenza dello Stato nell'economia o persino la burocrazia e la corruzione.
Nessuna spiegazione, tuttavia, è
così soddisfacente e cristallina come quella che porta a identificare il vero
focolaio della crisi in uno stato preciso dell'animo umano: l'avidità.
L'avidità umana è da più parti
indicata quale vero fattore scatenante della crisi, oltre che responsabile
della deriva di un certo tipo di capitalismo. Ma l'avidità, diranno ancora gli
scettici, non si può misurare, controllare, rilevare, non la si può nemmeno
fermare o sanzionare. Dunque, a che serve incolparla per questa crisi? Invece è
riconoscibilissima, nelle azioni delle persone e delle istituzioni, molto più
visibile o incomprensibile, a uno sguardo onesto ed educato alla giustizia, di
un prodotto finanziario strutturato, di un derivato o di un mutuo ad alto
rischio. E' un fattore di pericolo potentissimo per l'economia e la società, un
virus che ciascuno può scovare, molto prima che il suo dilagare produca effetti
negativi.
Tanto per spiegarci, l'avidità è una
forma di deriva morale peggiore dell'egoismo, peraltro considerato virtù da una
radicata scuola di pensiero. Nella visione trasmessa da uno dei padri della
politica economica, Adam Smith, è proprio l'egoismo, inteso come
individualismo, il vero motore dello sviluppo, la molla capace di generare
ricchezza personale e, in una condizione di libero mercato, maggior benessere
per tutti.
E' una prospettiva parziale e
riduttiva dell'uomo: l'esperienza ha insegnato che gli esseri umani, nella
ricerca della felicità individuale, non sono mai stati in grado di riprodurre
come si deve le condizioni ideali nelle quali rendere produttivo l'egoismo.
L'egoismo, però, può arrivare ad accogliere
il concetto di lealtà, di rispetto dell'avversario, di onestà, nel tentativo di
perseguire il proprio profitto personale. E, per esteso, quello della
collettività. L'avido no. L'avidità, versione moderna dell'avarizia, è
distruttiva. Fa il vuoto attorno a sé.
E' sempre l'avidità a indurre le
persone o le imprese a voler vivere di rendita - che sia piccola o grande poco
conta - rinunciando a produrre onesti profitti, a investire per creare sviluppo
e benessere diffuso. E c'è l'avidità dietro la corruzione, l'evasione fiscale,
gli oligopoli, le intese che restringono la concorrenza, il mito
dell'assistenzialismo. Nella truffa verso i clienti di una banca, come nella
ricerca ossessiva di un investimento che assicuri rendimenti - chissà come -
molto superiori alle condizioni di mercato.
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