Care amiche,
cari amici
L'inaugurazione dell'Esposizione
universale di Milano è stata contrassegnata da due immagini, apparentemente
contraddittorie, che ci hanno accompagnato nei Tg e negli editoriali così come
nelle cronache giornalistiche: da una parte il mondo capitalista che celebra se
stesso, nonostante la crisi economica, e che vorrebbe estendere a tutti il suo
benessere sconfiggendo definitivamente la "fame nel mondo", mentre
dall'altra una piccola minoranza di potenziali assassini mette la città a ferro
e fuoco, come accadde a Genova nel 2001.
I black bloc (in realtà le
diverse anime della galassia antagonista) sono soliti ritrovarsi per compiere
azioni di una violenza inaudita contro i simboli del capitalismo in occasione
delle grandi manifestazioni della società che vorrebbero contestare e
distruggere, come appunto l'Expo, i G8 e in generale i più
importanti incontri del capitalismo internazionale. Appaiono come contestatori
di un mondo del quale, invece, sono in qualche modo il prolungamento, o forse
un aspetto contiguo.
Infatti i due mondi sono accomunati
dal rifiuto di quei princìpi fondamentali che soli possono tenere insieme una
società e garantirne il bene comune, fra cui quella solidarietà verso gli
ultimi che i "capitalisti" vorrebbero aiutare e i black bloc
rappresentare.
Chi sono infatti gli ultimi nel
mondo contemporaneo, chi sono i penalizzati sul serio? I potenti di tutti i
partiti che sfilano all'Expo dopo essersi insultati in Parlamento oppure
i violenti che incendiano le macchine della gente normale, distruggono i negozi
aperti il Primo maggio per cercare di vendere qualcosa e impediscono alle
persone comuni di uscire di casa in un giorno non lavorativo?
Io credo che gli ultimi, quelli che
dovrebbero essere aiutati concretamente, siano coloro che guardano con
sufficiente distacco l'Expo (che considerano a torto o a ragione una
passerella dei potenti senza riscontri veramente concreti sul mondo reale) e
guardano con profonda e motivata ostilità i potenziali assassini che dilagano
come animali impazziti e vigliacchi nella città impaurita.
Fra questi ultimi (gli
"scartati" per usare le categorie di papa Francesco) vi sono i padri
e le madri delle famiglie ancora normali, quelle che fanno i figli secondo la
natura umana e pure li fanno crescere con sacrifici consistenti,
"persino" andando a lavorare tutti i giorni. Gli ultimi sono i poveri
del terzo mondo, che assistono a queste maestose rappresentazioni con un certo
scetticismo circa la possibilità reale di ricavarne dei benefici.
Ma gli ultimi che vorrei ricordare
in modo particolare oggi sono le forze di polizia e i carabinieri che per
quattro soldi rischiano la vita di fronte alla violenza assassina di chi scende
in piazza e, quando viene da loro arrestato, spesso e volentieri viene
scarcerato nel giro di 24 ore da magistrati complici e politicamente corretti.
Nei confronti di queste forze
dell'ordine esiste un pregiudizio ideologico negativo che comincia a
diffondersi nel 1968 e, da allora, è diventato una componente stabile dell'intellighenzia
occidentale. È un pregiudizio che porta anche molti moderati e conservatori ad
avere paura di difenderli veramente fino in fondo, valorizzando la loro azione
non semplicemente con parole di circostanza, ma concretamente, con leggi e iniziative
di sostegno pubblico. Ha fatto specie in queste ore ascoltare le parole
pronunciate dal sindaco di Milano contro i violenti che hanno devastato la
città, conoscendo la sua storia ideologica e politica. Speriamo di cuore che
siano sincere e preludano a un atteggiamento di solidarietà vera e costante nei
confronti di chi mette la propria vita al servizio del mantenimento dell'ordine
pubblico.
Da parte nostra continuiamo a
difendere gli ultimi del nostro tempo. Le famiglie, soprattutto quelle numerose,
i bambini non nati perché eliminati dall'egoismo dei "grandi" anche
attraverso le leggi ingiuste degli Stati ricchi d'Occidente, e tutti gli uomini
e le donne delle forze dell'ordine, affinché questa parola cosi scorretta
politicamente, l'ordine, ritorni ad avere un ruolo centrale nella vita
culturale e politica delle nostre comunità. Se così non andasse, il mondo
sviluppato rischierebbe il riprodursi delle condizioni dell'Expo di
Parigi del 1900, quando tutta l'Europa celebrò i fasti della Belle époque,
drammaticamente ignara della crisi spaventosa alle porte e che sarebbe sfociata
nella tragedia della Prima guerra mondiale, neanche quindici anni dopo.
FONTE: Marco Invernizzi di Alleanza Cattolica
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