Care amiche, cari amici,
L'anima di ogni apostolato è
certamente la preghiera, come spiega un bel libro del secolo scorso,
recentemente riproposto dall'editore San Paolo e che merita di essere letto
ancora oggi. Ma la preghiera non è in contrapposizione con l'impegno pubblico a
cui per esempio papa Francesco richiama i laici cattolici affinché siano
presenti nelle istituzioni e siano protagonisti della vita pubblica, anche
politica.
Il dilemma che è riemerso in
occasione della manifestazione delle famiglie italiane il 20 giugno in realtà è
antico, almeno di trent'anni. Quando nel 1985, a Loreto, San Giovanni Paolo II
pronunciò il celebre discorso in cui raccomandava che il movimento cattolico
fosse presente nella cultura e nella vita politica, per molti tale intervento
rappresentò il superamento della cosiddetta scelta religiosa che in precedenza
aveva allontanato i cattolici da quella animazione cristiana dell'ordine
temporale richiesta dal Vaticano II e aveva, di fatto, "coperto"
un'apertura politica e culturale verso il comunismo, che allora sembrava
destinato a una vittoria definitiva.
Intendiamoci, l'invito che negli anni
Sessanta chiedeva maggiore concentrazione sulle cose ultime e un certo distacco
da quelle temporali così come l'insistenza con cui tutti i pontefici hanno
raccomandato di privilegiare la testimonianza rispetto alla polemica e alla
contrapposizione hanno un fondamento storico e teologico reale. Oggi il
processo di disgregazione del corpo sociale è arrivato così in profondità che
sembra impossibile pensare di fermarlo soltanto con battaglie politiche,
tattiche, di breve periodo, proprio perché la crisi è culturale e
antropologica, è penetrata cosi a fondo nel cuore degli uomini che sarà
possibile superarla solo accostandoli uno per uno, in quell'apostolato
missionario che papa Francesco invita a praticare verso le periferie ferite del
mondo contemporaneo. Inoltre, Cristo non ha promesso ai suoi discepoli la
vittoria temporale ma quella eterna, che è garantita dal suo sacrificio e dalla
sua Resurrezione.
Tuttavia, questa convinzione,
sacrosanta perché legata ai fatti, non è in contraddizione con una presenza
pubblica che denunci con forza e visibilità che il mondo non si è allontanato
da Dio e dalla Sua legge solo per la carenza della testimonianza dei cattolici,
ma anche perché qualcuno e qualcosa lo hanno spinto in questa direzione.
Per entrare nel concreto, le leggi
contro la dignità della persona umana che hanno accompagnato la storia del
nostro Paese, dal divorzio all'aborto, e che continuano a essere proposte, come
i ddl Scalfarotto e Cirinnà, sono l'espressione legislativa di una visione del
mondo che deve essere denunciata.
Questo hanno fatto le famiglie del 20
giugno. Hanno detto a voce alta che l'ideologia gender esiste eccome, ha
una sua storia e suoi protagonisti, ha avuto le sue tappe e conosce oggi una
sua espressione legislativa.
Nessuno credo pensi che sia
sufficiente opporsi a questa deriva legislativa per migliorare il mondo, ma
nessuno credo possa onestamente negare che sarebbe un'omissione grave
rifiutarsi di dire a voce alta che un'ideologia malvagia viene insegnata nelle
scuole ai nostri figli e nipoti e che questa ideologia prevede fra
l'altro la legalizzazione del matrimonio omosessuale e delle adozioni dei
bambini da parte di coppie gay, come peraltro è già avvenuto in molti Stati
occidentali.
Come allora, nel 1985, quando San
Giovanni Paolo II invitava il movimento cattolico a essere presente non
intendeva affermare che i cattolici italiani smettessero di pregare per la loro
patria, anzi indisse una Grande preghiera per l'Italia, così oggi la
piazza del 20 giugno può benissimo stare accanto alla veglia di preghiera del 3
ottobre, alla quale il Santo Padre ci richiama per illuminare i padri sinodali
alla vigilia dell'assise.
FONTE:
Marco Invernizzi di Alleanza Cattolica
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