martedì 22 marzo 2016

CHI HA SCRITTO IL PENTATEUCO?



           La domanda più impegnativa riguardo al Pentateuco (Genesi, Esodo, Levitico, Numeri, Deuteronomio) è sempre stata quella sull'autore e sull'epoca in cui questi cinque libri sono stati scritti.  Gli antichi maestri ebrei attribuivano la sistemazione del materiale, che adesso troviamo raccolto nella Torah, a un sacerdote vissuto alla fine del V sec. a.C. di nome Esdra, dal quale prende il nome anche un libro della Bibbia.

             Gli studiosi moderni ritengono che il Pentateuco ricevette la sua sistemazione attuale per opera di sacerdoti che lavorarono dopo l'esilio in territorio babilonese, mettendo in ordine testi più antichi e aggiungendo del materiale loro. L'opera di questi sacerdoti, che forse iniziò già durante l'esilio babilonese nel VI sec. a.C. viene abitualmente indicata come tradizione sacerdotale.

            Che i materiali raccolti siano diversi si vede, per esempio, dal fatto che abbiamo nei primi due capitoli della Genesi due racconti della creazione:1,1-2,4a e 2,4b-25. Il cap. 1 appartiene alla tradizione sacerdotale (indicata con la sigla <<P>> da <<priest, sacerdote>>), il secondo capitolo alla tradizione jahvista (indicata con la sigla <<J>> dal nome di Dio, Jhwh). Anche nel racconto del diluvio troviamo presenti due tradizioni, quella sacerdotale (P) e quella jahvista (J).

            Quando nelle storie dei patriarchi troviamo genealogie o itinerari sintetici delle tappe di un viaggio, dati sull'età di un personaggio oppure testi di tenore giuridico, come il contratto per l'acquisto della tomba per Sara in Gen 23, possiamo essere certi di leggere brani della tradizione sacerdotale o <<P>>. Naturalmente i sacerdoti erano ancora più interessati alle leggi, a quelle sul  culto in particolare, per cui possiamo dire che quasi tutto il Levitico e gran parte di Numeri sono testi della tradizione sacerdotale, nei quali troviamo un gran numero di norme che sono state via via aggiornate.

            Quasi tutti i racconti esistevano già e, in genere, gli autori della tradizione sacerdotale si sono limitati a trascriverli, con qualche ritocco. Anzi, probabilmente esisteva già da secoli - qualcuno dice addirittura dai tempi di Salomone, altri da quelli di Ezechia - una storia organica, cioè una vera e propria opera letteraria che raccontava le vicenda dei patriarchi, di Mosè con l'epopea dell'esodo dall'Egitto e dal deserto, fino alle soglie dell'insediamento nella terra promessa o si sarebbero limitati a , secondo alcuni, anche oltre, fino agli inizi della monarchia. Si tratta della tradizione jahvista, che i redattori della tradizione sacerdotale si sarebbero limitati a riprodurre, interrompendola o modificandola, quando necessario, per inserire armonicamente il loro materiale. Gli autori della tradizione jahvista unificarono le antichissime memorie su Abramo e Giacobbe, inserendo con chiarezza nei momenti più significativi il richiamo alla promessa divina sia di una numerosa discendenza, sia del futuro dono della terra. La tradizione jahvista ha una visione  molto positiva del cammino della storia. Conosce la debolezza umana, ma è convinta che la benedizione divina darà sicurezza di vita al popolo e, proprio grazie a questa sicurezza, la fede si rafforzerà. E' necessaria però una fede incrollabile nella promessa e non si deve cercare di anticipare i tempi di Dio, come fece invece Abramo quando volle un figlio da Agar. La tradizione jahvista è anche particolarmente attenta alla psicologia femminile, ma il suo interesse per le nozze e la maternità è sopratutto motivato dalla convinzione che, in questa fase iniziale della storia, la benedizione si concretizza soprattutto nel dono di una discendenza numerosa, forte, decisamente attaccata  alla vita e alle tradizioni dei padri.

            Probabilmente, alla fine del sec. VIII confluisce nel racconto jahvista, nato nel sud, una serie di brani che vengono attribuiti alla tradizione detta elohista perché non usa il nome divino Jhwh prima che esso sia rivelato a Mosè nel roveto (Es 3,14) ma quello più generico di Elohim, "Dio". Questo filone sottolinea di più il dovere della fedeltà interiore al comandamento di Dio. Un brano significativo è forse quello dove si racconta la prova di Abramo, chiamato ad offrire a Dio il suo unico figlio Isacco. La fede e l'obbedienza sono i grandi valori che le due tradizioni, quella jahvista e quella elohista continuano a insegnare anche a noi.

FONTE: Titolo: Nuova guida alla Bibbia; Autore: Gianfranco Ravasi; Editore: San Paolo

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