SOSPETTO
di
Camillo Langone
Lo sospettavo, adesso ho la conferma.
L’ultimo sondaggio Ipsos dice che il Pd è votato soprattutto dai cattolici
praticanti e dai vecchi. Perciò, a messa, la domenica, è molto probabile che le
persone con le quali mi scambio il segno della pace sostengano Ivan
Scalfarotto, l’omosessualista piddino che vuole impedire per legge di
proclamare Genesi 19,24, Levitico 20,12, Matteo 19,4, Romani 1,27. Ci si
sbrighi pertanto a fare santo Paolo VI, il Papa che denunciò l’ingresso del
fumo di Satana nella chiesa. Papa attualissimo.
Fonte:ilfoglio.it
Paolo VI, il
Papa martire del Sessantotto
di Piero Gheddo
Il Concilio Vaticano II aveva suscitato tanti
entusiasmi e speranze, secondo quanto diceva San Giovanni XXIII: “Il
Concilio sarà una nuova Pentecoste per la Chiesa”. La storia, com’è noto, è poi
andata in senso diverso. Quando finisce il Vaticano II (7 dicembre 1965), Paolo
VI pubblica, col Motu proprio Ecclesiae Sanctae (6 agosto
1966), le norme per applicare le decisioni conciliari alla vita quotidiana dei
fedeli e di diocesi, parrocchie, istituti religiosi. Ma già nascevano convegni
teologici, riviste specializzate (ad esempio Concilium) e pubblicistica
ecclesiale che iniziavano la “fuga in avanti” (o indietro?) non spiegando e
invitando ad applicare i documenti del Concilio, ma ipotizzando cosa volevano
realmente dire i Padri conciliari. Si scriveva che “lo spirito del Concilio”
superava ampiamente i testi conciliari, troppo timidi e incompleti, per colpa
soprattutto delle mitica “Curia romana”. Sorgevano “profeti” che annunziavano
prossimo il “Concilio Vaticano III”, che avrebbe dovuto completare il Vaticano
II, ipotizzando forme nuove di vita cristiana e sacerdotale.
Nell’autunno 1967, inizia in Italia e in Occidente il
“Sessantotto”, un miscuglio di grandi ideali (la pace e la
giustizia nel mondo), di utopie spesso assurde (l’uguaglianza assoluta fra gli
uomini e fra uomo e donna, il disarmo totale) e di comportamenti spesso
violenti, che manifestavano la profonda insoddisfazione per la nostra società
occidentale. Era una protesta generalizzata di giovani, specialmente studenti,
contro la società in cui vivevano, bloccata dai “poteri forti” e dai detentori
del potere, i “baroni” delle cattedre, i “padroni” delle industrie e tutte le
autorità. Lo spirito sessantottino si è infiltrato anche nella Chiesa
cattolica. A molti sembrava un movimento provvidenziale per il bene della
politica, della società e della Chiesa.
Nascevano comunità di credenti, con i loro sacerdoti,
che vivevano “secondo lo spirito del Concilio”, ma non obbedivano al vescovo ed erano motivo di divisione e di
scandalo, amplificato dai mass media. Diminuiva la pratica religiosa, non pochi
sacerdoti abbandonavano il sacerdozio, per sperimentare “un modo nuovo di
essere prete”. Erano tempi di grande confusione, dubbi, incertezze: iniziava il
periodo di crisi della fede e della vita cristiana di cui siamo ancor oggi
spettatori addolorati.
Una certa teologia disincarnata dalla realtà minava le fondamenta dell'ideale missionario, come inteso dal
Vaticano II. Si proclamavano come verità proposte che avevano qualcosa di
autentico, ma diventavano, assolutizzandole, nefaste per la missione alle
genti. Ad esempio:
Le giovani Chiese debbono annunziare Cristo ai loro
popoli, i missionari sono superflui; nasceva una campagna di
stampa per il “moratorium” delle missioni in Africa (ritirare tutti i
missionari stranieri), per lasciar libere le Chiese locali. I non cristiani
sono anche in Italia, la missione alle genti è qui da noi. Manchiamo di
sacerdoti in Italia, perché voi missionari andate a portare Cristo in altri
continenti, quando lo stiamo perdendo noi italiani? Non è importante che i
popoli si convertano a Cristo, purché prendano il messaggio di amore e di pace del
Vangelo. Ogni religione ha i suoi valori e tutte portano a Dio, che senso ha il
“proselitismo” missionario in popoli di altre religione? Basta conversioni.
Facciamo che il cristiano sia un miglior cristiano, il musulmano un miglior
musulmano, un buddhista un miglior buddhista…
Il Papa martire del 1900: Paolo VI
Paolo VI era il Papa del Concilio, aveva portato
avanti con grande saggezza e chiuso bene, con voti quasi unanimi dei 2.500
Padre conciliari, un evento straordinario che apriva orizzonti nuovi alla
Chiesa. Uomo colto, mite, umile, che aveva capito i tempi moderni, comunicava
in modo comprensibile a tutti (si leggano le sue encicliche!) e con la sua
prima enciclica Ecclesiae Sanctae (1964) indicava il dialogo
col mondo (dare e ricevere) come metodo di annunzio del Vangelo nei tempi
moderni. Eppure, all’inizio degli anni Settanta, dopo le contestazioni violente
e sprezzanti (da parte di cattolici) seguite alla Humanae Vitae (1968),
che l’avevano ferito nel vivo, di fronte al marasma di quei tempi era
intimidito, si sentiva mancare le forze per reagire e riportare il gregge di
Cristo a vivere secondo gli orientamenti dati dal Vaticano II. E anche la
Chiesa italiana, dialogante e divisa, non aiutava certo Paolo VI. Era orientata
verso “il senso religioso”, mentre la società e la cultura italiana erano
arate, seminate e devastate dai prepotenti e spesso violenti metodi e ideologie
sessantottini. Il messianismo della rivolta studentesca sembrava dare vigore ai
fermenti post-conciliari, che interpretavano il Concilio come una rottura con
la Tradizione ecclesiale e una rivoluzione totale della Chiesa e della vita
cristiana.
Tanto più che non pochi intellettuali e teologi, associazioni e gruppi ecclesiali, seguivano la travolgente onda culturale
che portava verso il laicismo, il relativismo, l’individualismo (i “diritti
individuali” ma non i “doveri”), la lettura “scientifica” della società (cioè
il marxismo). Nessuno più osava dire forte e chiaro che un “mondo nuovo” è
possibile, ma solo a partire da Cristo. Paolo VI lo diceva, lo ripeteva, lo
proclamava ad alta voce (si vedano i numeri 26, 28, 31 della Octogesima
adveniens, 1971 sul socialismo), ma era ascoltato solo dai semplici
credenti e da coloro che, nelle mischie dei talk show, erano
definiti “papalini” in senso negativo.
La crisi dell’ideale missionario nell’Occidente
cristiano è nata nella crisi di fede che squassava la
Chiesa intera. Ha preso tutti alla sprovvista e ha diviso le forze missionarie
(istituti missionari, riviste, animazione missionaria, ecc.). Un esempio
significativo (ne ricordo tanti!). Nell'estate 1968, come già diverse volte in
precedenza, ho partecipato alla Settimana di Studi missionari a Lovanio
("Liberté des Jeunes Eglises"), organizzata dall'indimenticabile
amico gesuita padre Joseph Masson, docente di Missiologia della Gregoriana.
Diverse voci non di missionari sul campo, ma di studiosi, teologi, missiologi
mi ferivano, perché esprimevano forti dubbi sul mandare missionari europei in
altri continenti; molto meglio, si diceva, lasciare che le giovani Chiese
raggiungano una loro maturità e si organizzino secondo le loro idee e culture.
Ho protestato contro questa ipotesi perché avevo seguito dal di dentro il
Vaticano II e testimoniavo che la totalità dei vescovi delle missioni si erano
espressi in modo radicalmente opposto, chiedendo nuovi missionari. Anzi, con
l’indipendenza dei loro paesi, sentivano la necessità di avere più forti legami
con la sede di Pietro e le Chiese cattoliche antiche. È solo un esempio della
mentalità che si era infiltrata e diffusa nella Chiesa in quel tempo
post-conciliare.
La crisi della “missio ad gentes”, e quindi
dell'animazione missionaria (e delle riviste e libri
missionari), si è manifestata anche nella chiusura delle tre "Settimane di
studi missionari" che si tenevano a Milano dal 1960 (esperienza chiusa nel
1969), a Burgos (1970) e a Lovanio (1975), che venivano da una lunga tradizione
(a Lovanio dagli anni venti), per i forti contrasti e divisioni fra i teologi e
gli specialisti delle missioni.
Fonte:lanuovabq.it
Meditate gente, meditate.
FIGLIODELTUONO
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