lunedì 28 aprile 2014

LEGGI CONTRO LA FAMIGLIA PARTE 1



           Esiste un disegno di Dio sull'uomo. Ma "noi siamo sempre tentati di sovrapporre al disegno del Grande Artista i nostri scarabocchi, che spesso sono rovesciamenti  integrali della prospettiva originaria" (G. Biffi). Questo capovolgimento presenta alcuni elementi caratteristici: la diffusione di leggi contro la famiglia, la svalutazione sociale della famiglia, lo scandalo del costume, la rivoluzione sessuale. Soffermiamoci in particolare sulle leggi contro la famiglia.


a) Il divorzio
            Con questa normativa il matrimonio è stato ferito mortalmente nella sua struttura essenziale che lo prevede - per diritto naturale - indissolubile. Il divorzio trasforma il matrimonio civile in una particolare forma di contratto a tempo indeterminato con possibilità di recessione unilaterale.

            Nessuna novità, per il matrimonio celebrato davanti al sacerdote che, se validamente rato e consumato, non può essere sciolto in alcun modo e resta valido al di là delle scorciatoie predisposte dalla legge civile. L'effetto culturale è stato però devastante: oggi non poche coppie contraggono lo stesso matrimonio- sacramento con la segreta riserva mentale che, in caso di difficoltà, il divorzio possa costruire una legittima e necessaria via d'uscita.

b) Il nuovo diritto di famiglia
            La seconda aggressione si è consumata in modo più subdolo, con l'introduzione di un nuovo diritto di famiglia - in Italia, ad esempio, ciò è avvenuto nel 1975 - che ha trasformato la famiglia stessa da comunità di affetti e di mutua assistenza in una sommatoria di più individualità distinte ed autonome. La filosofia che ispira i nuovi articoli del Codice civile ritiene che le esigenze dei singoli componenti assumono un valore privilegiato rispetto agli interessi tipici della famiglia: unità, stabilità, desiderio di ciascun coniuge di portare i pesi dell'altro, educazione  dei figli, attenzione e sostegno dei parenti anziani, apertura alla comunità. Si tratta di una riforma ispirata dalla mentalità individualista e dalla logica femminista, i cui effetti deleteri sulla famiglia non sono stati ancor ben compresi dallo stesso mondo cattolico. I dati su separazioni e divorzi dimostrano tuttavia che le difficoltà e le incomprensioni - inevitabili in qualsiasi matrimonio - non possono essere superate se si afferma una visione "contrattualistica" del vincolo nuziale, nella quale le parti si fronteggiano in un permanente scambio di rivendicazioni e di diritti. Una volta accettata l'idea che la famiglia è il luogo della "autoaffermazione personale" e non della "affermazione dell'altro attraverso la quale io realizzo me stesso", il matrimonio si trasforma progressivamente in una SpA, dove ognuno desidera semplicemente trarre il maggior profitto per se stesso. Contro di essa si levano voci assolutamente autorevoli quanto inascoltate: particolarmente critico fu il gesuita e grande giurista Salvatore Lener. Si potrebbe addirittura dire che il matrimonio cessa di esistere come istituto per venir rimpiazzato da una semplice convivenza sentimentale, sopra la quale pende la spada di Damocle del capriccio personale. Prima gli sposi si dicevano "Promettiamoci, per sempre"; ora si dicono: "Proviamoci, finché dura". Il matrimonio di una volta era forse non esaltante, ma solido e assai sereno, pur nella rozzezza di certi rapporti. Occorre riconoscere che le donne d'altri tempi dovevano fare i conti con condizioni di vita molto disagevoli; tuttavia, le sopportavano con discreta serenità, senz'altro assai maggiore di quella di tante donne d'oggi, circondate da ogni benessere materiale e culturale.

            Come si spiega questo paradosso? Con il problema dell'assoluto e dell'inganno idolatrico: quando una persona ha sistemato l'assoluto, non entra in crisi per il relativo. Per l'assoluto si sopporta ogni tipo di prova.

            Il colpo più duro alla solidità del vincolo arriva in particolare dalla scelta di eliminare il riferimento al marito come fulcro delle decisioni più importanti della famiglia: si preferisce battere la strada - demagogica e forse perfino utopica - della "democrazia familiare", applicando un modello di Stato ad una realtà, quella della famiglia, che Stato non è. La legge italiana del 1975 (la 151) abolisce l'istituto della potestà maritale e stabilisce la piena uguaglianza dei coniugi, fondando la famiglia su una sorta di diarchia (art 143 e 144) che, in una società di soli due membri qual è il matrimonio, equivale semplicemente all'instaurazione dell'anarchia organizzata. Dal codice scompare, sorprendentemente, anche l'obbligo da parte dei figli di onorare i genitori. Dalla lettura del codice salta subito agli occhi che le esigenze degli sposi appaiono "individualizzate": il matrimonio non sembra affatto realizzare quella reductio in unum che rende i due una sola cosa; si citano, è vero, le esigenze della famiglia, ma significativamente in secondo piano, quasi sfumate dietro alle "esigenze" dei due individui.

            E se le esigenze confliggono? Nemmeno in questo caso il Codice affida la scelta ad uno dei due coniugi -come suggerisce il buon senso- ma preferisce chiamare in causa il giudice. Il gioco è fatto: non più di due sposi si tratta, ma di controparti, di attori processuali, di contendenti che si litigano un posto al sole dentro il contratto (a termine) che hanno stipulato.

EMMANUELE

FONTE:  Da i quaderni del Timone; AUTORE: Mario Palmaro; TITOLO: Matrimonio e famiglia; EDITORE: Edizioni Art.



seconda parte

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