giovedì 27 novembre 2014

CAPIRE LA CRISI - PARTE 3



          A soddisfare i palati degli avventurieri c'è quella formidabile innovazione finanziaria che si chiama cartolarizzazione. E con lei ci sono i meravigliosi subprime da spremere fino in fondo.


            Questo abile e geniale giochetto si chiama cartolarizzazione di un credito. Serve a diluire i rischi quando si fa un prestito. E' talmente promettente che viene replicato più e più volte, come in una catena di sant'Antonia. Ad ogni passaggio i rendimenti ovviamente salgono, i soldi che si guadagnano sono di più, e la patata bollente finisce sempre nelle mani dell'ultimo arrivato.

            Insomma, la porcheria, se c'è, è tutta fuori dal bilancio, ben nascosta da istituti protetti dall'ombra di mercati non vigilati in prodotti che appaiono abbronzati e sorridenti.

            E' la prova che la finanza ha ormai vinto la sua partita sull'economia reale. Non conta più produrre, ma far girare i soldi per poter farne sempre di più, e in poco tempo. Quando il sistema comincia ad andare in tilt a causa della flessione del settore immobiliare, nel 2007, sui mercati ci sono quasi 1000 miliardi di dollari di mutui subprime e, appoggiati su questi, qualcosa come 4200 miliardi di dollari di RMBS, 3000 miliardi di CDO e oltre 530mila miliardi di strumenti derivati vari. Chiamarla polveriera fa sorridere.

Invece, è stata proprio la globalizzazione della follia a rendere sistemico il pericolo.

            Perché è solo compiendo un microscopico atto di fiducia nei nostri confronti che il barista può appoggiare la tazzina sul bancone, fidandosi del fatto che noi pagheremo il nostro euro. Ed è solo fidandoci del barista che noi possiamo lasciare la moneta sul bancone prime che il caffè arrivi. Se nessuno si fida, noi e il barista resteremmo fermi per ore a guardarci con la tazzina e l'euro trattenuti nelle nostre mani. La fiducia non è cosa da poco, appartiene alla categoria del capitale sociale di una comunità, piccola o grande che sia. Ci vogliono decenni per costruire un patrimonio di fiducia, può bastare un niente per distruggerlo. E, a quel punto, quando il danno è fatto, per rimettere insieme i cocci del vaso possono servire anni. Quello che avviene nel mondo dopo il fallimento della Lehman Brothers è proprio questo. Più che l'effetto del contagio finanziario per i titoli tossici in circolazione legati alla Lehman, a mandare in corto circuito l'economia planetaria è una gigantesca crisi di fiducia.

Il concetto di bene comune è sacrificato a favore del bene individuale.

            Ai francescani va, invece, il merito di <<trovare la via d'uscita dall'imbarazzo della ricchezza, con l'invenzione dell'economia di mercato civile>>, come insegna uno dei massimi esperti della materia, l'economista Stefano Zamagni.

            Il discorso valeva allora, quando vengono fondati i Monti di Pietà e l'attività di credito viene sottratta alla comunità degli avari usurai per essere destinata a favore della collettività. Ma varrebbe ancora oggi, se, ad esempio, la finanza tornasse alla sua funzione originaria di sostegno dell'economia reale e del benessere dell'umanità, e non venisse utilizzata per produrre ricchezza a favore di pochi e a danno di altri.

            Gli strumenti del mercato in sé sono neutri, è l'uso che se ne fa, o l'assenza di regole, a cambiare le cose.

            L'economia di mercato nasce, dunque, come esaltazione della libertà e della tensione verso il bene comune.

            Il problema dei subprime, del credito facile, delle speculazione con i derivati, e, in ultima istanza, della crisi che si genera negli Stati Uniti e travolgerà l'Europa, è tutto qui. Non negli strumenti del mercato, ma dell'uso di questi a favore di un guadagno esclusivamente individuale, per gonfiare il pil e per far credere alle persone di poter raggiungere più velocemente la felicità. Consumando e indebitandosi.

            Sotto i colpi della crisi e della speculazione internazionale, l'euro si rivela una moneta non completa, nata da un'unione imperfetta.

            Ovviamente, il problema non sono i disegni sulle banconote, ma il modo in cui è stata costruita l'Eurozona. L'Europa che ha aderito al progetto della moneta si è lanciata nell'avventura senza compiere subito quei passi necessari a garantire la tenuta di un'unione monetaria. Come la storia di altre esperienze simili ha insegnato, è difficile stare insieme sotto lo stesso cambio senza integrare veramente le economie, senza un sistema di governo economico efficiente e comune, senza coordinare le politiche fiscali, di bilancio e quelle sociali. Senza un Ministero delle Finanze comune, o almeno una via di fuga in caso di emergenza. 

            L'ultima crisi colpisce l'architettura stessa dell'Unione Europea, il suo sistema di governo e quello di gestione delle emergenze, i trattati che la regolano, la moneta comune.

EMMANUELE
FONTE: Autore: Massimo Calvi; Titolo Capire la crisi; Editore: Rubbettino

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