La crisi
rappresenta l'epilogo di una finanza fuori controllo.
L'invecchiamento della popolazione
nelle aree più ricche del pianeta è certamente un altro elemento di forte
instabilità, ma ha avuto un ruolo assai rilevante anche la speculazione
internazionale, con il distacco sempre più evidente dai parametri dell'economia
reale,
così come l'assenza di autorità di controllo adeguate, la carenza nei
meccanismi globali di governo dei problemi, la mediocrità della classe
politica, l'eccesso di libertà d'azione concessa agli operatori economici, la
scarsa o l'eccessiva presenza dello Stato nell'economia o persino la burocrazia
e la corruzione.
Nessuna spiegazione, tuttavia, è
così soddisfacente e cristallina come quella che porta a identificare il vero
focolaio della crisi in uno stato preciso dell'animo umano: l'avidità.
L'avidità umana è da più parti
indicata quale vero fattore scatenante della crisi, oltre che responsabile
della deriva di un certo tipo di capitalismo.
Ma l'avidità, diranno ancora gli
scettici, non si può misurare, controllare, rilevare, non la si può nemmeno
fermare o sanzionare. Dunque, a che serve incolparla per questa crisi? Invece è
riconoscibilissima, nelle azioni delle persone e delle istituzioni, molto più
visibile o comprensibile, a uno sguardo onesto ed educato alla giustizia, di un
prodotto finanziario strutturato, di un derivato o di un mutuo ad alto rischio.
E' un fattore di pericolo potentissimo per l'economia e la società.
Tanto per
spiegarci, l'avidità è una forma di deriva morale peggiore dell'egoismo.
L'egoista, però, può arrivare ad accogliere
il concetto di lealtà, di rispetto dell'avversario, di onestà, nel tentativo di
perseguire il proprio profitto personale. E, per esteso, quello della
collettività.
L'avido no.
L'avidità, versione moderna dell'avarizia, è distruttiva.
E' sempre l'avidità a indurre le
persone o le imprese a voler vivere di rendita - che sia piccola o grande poco
conta - rinunciando a produrre onesti profitti, a investire per creare sviluppo
e benessere diffuso. E c'è l'avidità dietro la corruzione, l'evasione fiscale,
gli oligopoli, le intese che restringono la concorrenza, il mito
dell'assistenzialismo. Nella truffa verso i clienti di una banca, come nella
ricerca ossessiva di un investimento che assicuri rendimenti - chissà come -
molto superiori alle condizioni di mercato.
L'avidità è la madre della vita
facile, il faro di chi vede nel lavoro una minaccia, il volano di un agire
economico che non prevede responsabilità di azioni che escludono a priori
solidarietà e carità. L'avidità è all'origine di tutti quei comportamenti che
creano un benessere artificiale facendo pagare i danni a qualcun altro.
Distruggendo capitale sociale e arrivando a minacciare la pace.
Prima che frutto di una deriva
finanziaria o politica sia in realtà una crisi di tipo morale: non in quanto
violazione di una manciata di regole etiche, ma come globale e diffusa perdita
di senso della realtà e di disprezzo del bene comune. A ogni livello.
Il sistema, introdotto dalla
globalizzazione, funziona così: la stragrande maggioranza degli oggetti che
vengono prodotti da aziende americane e venduti in tutto il mondo - dai tablet,
alle camice alla moda - è realizzato in Asia beneficiando di una manodopera che
costa quasi niente (sia in termini di dollari, sia, spesso, in termini di diritti umani) e accettando un cambio con lo
yuan, la moneta cinese, tenuto artificialmente basso per mantenere vantaggiosi
i prodotti di Pechino.
Le merci, in tal modo, costano meno
di quello che dovrebbero, i prezzi in patria sono sotto controllo, l'inflazione
non corre troppo, mentre la differenza tra il bassissimo prezzo di produzione
in Asia e quello di vendita nel resto del mondo si trasforma in meravigliosi
profitti per le imprese e le multinazionali, fiorisce nei dividendi per gli
azionisti, nei guadagni di Borsa, nei premi ai manager, nel pil che corre. Una
manna.
Tutto lecito e regolare. Gli
americani hanno cominciato ad applicare questo modello nel sudest asiatico già
dagli anni Settanta. l'invenzione della globalizzazione non è un fattore
negativo; anzi, ha portato e porterà benessere in aree del mondo per anni
emarginate o escluse dallo sviluppo. Il problema, come sempre, sono gli
squilibri spinti all'eccesso, le esagerazioni, le derive patologiche e le
tentazioni degli esseri umani a cavalcare la rendita oltre ogni ragione.
EMMANUELE
FONTE:
Autore: Massimo Calvi; Titolo Capire la crisi; Editore: Rubbettino
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