sabato 14 dicembre 2013

I FIGLI E LA FEDE



            Ci preoccupiamo moltissimo per i nostri figli, a volte anche per motivi futili. Ma davanti a tutto dovremmo mettere il loro rapporto con Dio. Per loro dobbiamo desiderare la vita eterna, dunque che conoscano e amino Dio. Ecco qualche suggerimento.

            Da quando sono mamma la mia attività principale, il mio core bussiness, la mia ragione sociale è diventata preoccuparmi. Svolgo la mia attività con metodica dedizione, con precisione certosina. Non perdo occasione per preoccuparmi, per ciascuno dei quattro figli, per tutti i possibili pericoli, veri o immaginari, ai quali sono esposti. 

            Oggi però ho nuovo e più ricco materiale ad alimentare le mie ansie materne. Non ci sono solo le insidie alla salute del corpo: studierà abbastanza? Quanto può uscire (il grande)? Quanto contatto con la tecnologia (tutti)? Come dosare severità e amore? Regole ed eccezioni? Coccole e stimoli a migliorarsi? Avrò sbagliato moltissimo o solo molto? Per fortuna ci sono i padri, che salvano i figli dalla stretta, e mantengono la lucidità quando le mamme vanno in ansia.

            C'è però una cosa di cui forse alcuni di noi dovrebbero preoccuparsi di più. La domanda delle domande è: come trasmettere la fede ai nostri figli? Perché prima ancora della ricerca della formula dell'educazione perfetta (che, come è noto non esiste), i genitori devono chiedersi: che tipo di padre e madre vogliamo essere? Cosa desideriamo, anzi, come dice la formula battesimale, cosa chiediamo a Dio per i nostri figli? Vogliamo che vincano il Nobel? L'Oscar? Il Pulitzer? L'oro olimpico? Che siano belli? Che siano ricchi? Di successo? Colti? Intelligenti? Genericamente buoni? Simpatici? Noi per i nostri figli chiediamo la vita eterna, e quindi che conoscano e amino Dio. Questo innanzitutto è utili a mettere le priorità, e a saper tralasciare alcune cose a vantaggio di altre. Stabilito che la priorità è trasmettere la fede in Dio, ci si può cominciare a chiedere come fare.

            Non oberarli di attività. Tanto per cominciare, nel nostro caso per esempio quando abbiamo capito che le troppe attività pomeridiane toglievano serenità ai bambini, soprattutto ai più piccoli, mio marito ed io abbiamo tagliato. Si fanno pochissime cose, e si lascia tanto tempo per pensare, giocare liberamente, riposare.

            Affidarli a educatori validi e ortodossi. Una volta procurati spazi e tempi, si può entrare nel cuore del problema: come parlare di Dio ai bambini. Ci si può magari appoggiare a un'altra realtà ecclesiastica, con il proposito onesto e fermo di riportare in parrocchia il bene ricevuto altrove.

            I genitori siano d'esempio. Indipendentemente dalla qualità dei pastori, c'è senza dubbio un lavoro che nessuno può fare al posto dei genitori. Il catechismo è di solito un'ora a settimana, mentre quello che possiamo fare noi è ogni giorno, tante e tante ore. E possiamo parlare non solo con le parole, ma anche e soprattutto con il nostro modo di essere, dal quale, è risaputo, i bambini imparano molto di più: è con gli occhi, molto più che con le orecchie, che ci ascoltano i figli. Per questo io credo che il primo lavoro da fare sia su noi stessi. Radicare in Cristo la nostra fede, e rafforzarla. Essere persone serie e credibili.

            Parlare di Dio con serietà. E' fondamentale parlare con serietà di Dio ai bambini. Mi sembra la qualità che più manca a noi contemporanei. Se i bambini ci fanno domande su Dio, la fede, se non si conosce la risposta, si può anche ricorrere al Catechismo della Chiesa Cattolica sempre a nostra disposizione ( ce lo avete, vero, in casa, come ha raccomandato il Papa?). Ci sono tanti bravi sacerdoti a cui sottoporre le questioni a cui non dovessimo saper rispondere.

EMMANUELE

FONTE: Rivista di Apologetica "IL TIMONE".

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