I gesti semplici sono sempre i più
belli. Un abbraccio, troppo spesso dato in silenzio, racchiude sempre molte più
parole per esprimere quanto ogni giorno non si ha il tempo di dire.
La famiglia, valore oggi
dimenticato, può e deve essere un punto di rifermento dal quale partire per
formare nuovi uomini della nostra società….
Eccovi un bel racconto del
giornalista Carlo Nesti (www.carlonesti.it)
che prende come esempio quanto avvenuto durante una semplice partita di calcio.
Tobia
Al 43’ del secondo tempo di
Cagliari-Torino, calcio di punizione per la squadra sarda. Batte Daniele Conti,
figlio di Bruno, campione del mondo nel 1982, che ha già segnato così allo stesso
minuto del primo tempo. Esecuzione ad effetto, bellissima, e gol della
vittoria: 2-1.
Fin qui, tutto normale, ma l’evento
insolito accade dopo. L’abbraccio non è con i compagni, o con l’allenatore, ma
con il figlio Manuel, a bordo campo. L’anno scorso era successo con il fratello
Brunetto, e Manuel non vedeva l’ora che toccasse a lui.
Il commissario tecnico della
Nazionale Cesare Prandelli si chiede: “Perché tanta visibilità, a livello
mediatico, per cori e striscioni razzisti, e non la medesima visibilità per
quel gesto molto educativo?”.
Viene in mente il Vangelo, e la
priorità che Gesù garantisce proprio ai più piccoli e ai più poveri.
"Egli, chiamato a sé un
fanciullo, lo pose in mezzo a loro e disse: «In verità vi dico: se non vi
convertirete e non diventerete come i fanciulli, non entrerete nel regno dei
cieli»" (Mt 18,2).
Bruno Conti, al quale l’”Unione
Sarda” si rivolge per un pensiero da nonno e da padre, scrive: “Quell’abbraccio
racconta una famiglia”.
In un periodo storico, fra uomo e
donna, che si potrebbe intitolare “matrimonio: questo sconosciuto”, scene, come
a Cagliari, dimostrano che la “famiglia” non è, ormai, una realtà marginale, ma
resta indispensabile.
Nessun bambino può crescere bene,
senza 2 buoni genitori accanto. E quel bambino, con tanti altri bambini, quando
sarà cresciuto, contribuirà a cambiare il mondo. Dimenticarlo sarebbe un
“suicidio” collettivo.
CARLO NESTI
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