mercoledì 16 ottobre 2013

LA GLOBALIZZAZIONE VISTA DAI CRISTIANI



     Gli esperti si dividono sull'inizio cronologico del fenomeno della globalizzazione, mentre sono concordi sulla decisiva importanza da assegnare al crollo del Muro di Berlino nel 1989 e alla conseguente smobilitazione di immense energie umane, politiche, economiche che i blocchi contrapposti avevano tenute congelate. Da questo punto di vista la Centesimus annus "entra in tema" alla globalizzazione ancora agli inizi. 


         L'epoca della prima forte globalizzazione è stata soprattutto quella degli anni Novanta: dal 1994, in particolare, il cablaggio dell'intero pianeta mediante internet diventa realtà. La tecnologia informatica ha un ruolo di fondamentale importanza, essendo alla base del superamento dei limiti di spazio e tempo.

      Giovanni Paolo II aveva spesso messo in evidenza l'ambivalenza della globalizzazione. La nostra difficoltà a inquadrare il fenomeno dipenderebbe almeno da tre elementi: la sua novità, il fatto che è tuttora in corso e quindi non si può ancora verificare quale strada prenderà, una carenza di conoscenza e valutazione empirica, la carenza di dati certi. 

       Il problema è che nella misura in cui non riusciamo a governare il fenomeno, non riusciamo nemmeno a conoscerlo. La globalizzazione non è un fenomeno naturale che, prima si conosce e poi si governa; essa è un fenomeno umano, legato all'esercizio della libertà e della responsabilità di ciascuno. Capiremo adeguatamente la globalizzazione quando riusciremo a governarla.

      Ci chiediamo allora se per arrivare a una vera e propria conoscenza e comprensione del fenomeno non sia necessaria una visione precedente e maggiormente sintetica di quella offerta dalle Scienze sociali, una visione etica e antropologica.

Globalità starebbe a indicare la realtà dell'umanità globalizzata.

         Globalizzazione sta invece a significare il processo e le dinamiche in atto, la spinta in corso: l'umanità globale (o globalità) si integra mediante un processo che è altro da se. La globalizzazione, a priori, non è né buona né cattiva. Sarà ciò che le persone ne faranno.    
     
         Globalismo - ma meglio sarebbe dire "globalismi" al plurale - indica invece l'ideologia o meglio le ideologie che stanno dietro alla globalizzazione e la orientano verso una certa idea di globalità piuttosto che un'altra.

         La Chiesa, con la sua proposta di una globalizzazione orientata a un umanesimo plenario, invita a <<non rassegnarsi ad una mondializzazione fondata unicamente su criteri economici e neppure a rimettersi alla fatalità di meccanismi ciechi>>.

         Detrattori e sostenitori ad ogni costo, pur nella diversità delle loro opinioni, convengono nel considerare la globalizzazione alla stregua di un meccanismo che si autoimpone,. C'è bisogno, invece, di considerare il fenomeno come condizionante, ma non determinante, in quanto anch'esso dipende dalla libertà umana, <<E' l'uomo il protagonista dello sviluppo, non il denaro o la tecnica>>, ribadiva continuamente Giovanni Paolo II. 

         Pur riguardando anche l'aspetto economico e finanziario della globalizzazione, ha come oggetto primario i suoi inevitabili riflessi umani, culturali e spirituali. La consapevolezza che la tecnica non è mai solo un fatto tecnico ci dà conferme circa le sue conseguenze umane, culturali e spirituali, ma anche circa le sue origini umane, culturali e spirituali.

         Una variante del determinismo materialistico è l'economicismo, che consiste nel ritenere che la globalizzazione sia conseguenza necessaria delle logiche del mercato.

         Ciò non elimina, tuttavia, la libertà e la responsabilità dell'uomo: le strutture <<dipendono sempre dalla responsabilità dell'uomo che le può modificare, e non da un presunto determinismo storico.

    Tutte le molteplici cause vengono ridotte ad un'unica: la globalizzazione. La disoccupazione, la povertà, il sottosviluppo, la criminalità internazionale, la difficoltà delle politiche di welfare nei Paesi occidentali, il degrado ambientale, lo sfruttamento delle risorse non rinnovabili, il pericolo di estinzioni di specie vegetali ed animali sarebbero tutte conseguenze di quest'unica causa.

        Attribuire ogni colpa in modo indistinto alla globalizzazione significa liberare dalle loro eventuali colpe i vari soggetti coinvolti: governi, organismi internazionali, élites corrotte dei Paesi poveri, imprese.
        
         Il cristianesimo ha introdotto nella storia il concetto di una comune umanità estesa fino agli estremi confini della terra, inserendo nella civiltà un dinamismo di elevazione della dignità della persona e, contemporaneamente, di estensione oltre ogni limite e confine di questa umanità.
     Rileggendo le encicliche sociali, si nota indubbiamente un crescendo delle riflessioni sulla globalizzazione; alcune segnano un particolare avanzamento in questo percorso: la Quadragesimo anno (1931), la Pacem in Terris (1963), la Populorum progressio (1967), la Centesimus annus (1991).

         Esiste un nesso molto intimo tra globalizzazione e Dottrina Sociale della Chiesa la cui radice ultima si può precisare nei termini seguenti: la Dottrina Sociale, che si radica nel messaggio evangelico, possiede una spinta unificante, che è l'intero genere umano. La globalizzazione è stata accolta dalla Dottrina Sociale in misura sempre maggiore con il susseguirsi delle encicliche sociali, mentre la stessa Dottrina Sociale si globalizzava sempre di più. Un aspetto senz'altro importante della dimensione di globalità della Dottrina Sociale è quello antropologico. Quella cristiana è un'antropologia di totalità, al servizio della singola persona.

         Una società è aperta quando è democratica, riconosce ai cittadini ampie possibilità di scelta e fornisce loro, mediante il progresso economico e la tolleranza istituzionale, le possibilità concrete di esercitarle. Il concetto di "società aperta" assume come centrale il criterio della libertà, intesa come aumento delle possibilità di scelta. I progetti cosmopolitici di matrice illuminista finiscono per dimenticare l'uomo concreto.
 
         La globalizzazione non è solo un fatto tecnico o economico, ma anche, e forse soprattutto, culturale. Essa potenzialmente mette in scacco tutte le culture e, proprio per questo, richiede una nuova cultura. Essa obbliga le culture a confrontarsi non solo a distanza, ma ormai anche nello stesso quartiere o nello stesso caseggiato.

         C'è poi il problema del "perché". Non sembri un paradosso, ma la globalizzazione solo apparentemente abolisce i limiti, in realtà li fa emergere. Fa emergere i limiti dello sviluppo, quelli della manipolazione del creato, i limiti del mercato e della politica, quelli della tecnica lasciata a se stessa.    

         La globalizzazione ha bisogno dell'autorità rappresentata dalla morale, perché è manifesta l'<<esigenza di una norma morale universale.

         Non solo la morale è in se un'autorità, bensì essa fonda e legittima ogni altro tipo di autorità. La morale richiede <<la fiducia reciproca, il sostegno vicendevole, il rispetto sincero>>: la trasparenza e la fiducia nelle relazioni bilaterali e multilaterali; il rispetto dei patti e promesse fatte; la parità nelle contrattazioni; l'equità nei trattamenti; l'osservanza delle regole; la tutela dei deboli e delle minoranze; la rinuncia alla violenza e alla guerra; il rispetto dei diritti umani. Questi atteggiamenti schiettamente morali trasformano ogni potere in autorità.

      La solidarietà cristiana è destinata a tutti. Secondo la celebre definizione della Sollecitudo rei socialis, la solidarietà è la decisione perseverante di sentirsi responsabili di tutti.

      Tra globalità, globalizzazione e globalismo il concetto fondamentale rimane quello di globalità, che nella dottrina sociale della Chiesa viene indicata solitamente con le espressioni "dimensione universale della famiglia umana" e "unità del genere umano".

EMMANUELE

Fonte: Globalizzazione. Una prospettiva cristiana, di Gianpaolo Crepaldi editrice Cantagalli

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