Gli esperti si
dividono sull'inizio cronologico del fenomeno della globalizzazione, mentre
sono concordi sulla decisiva importanza da assegnare al crollo del Muro di
Berlino nel 1989 e alla conseguente smobilitazione di immense energie umane,
politiche, economiche che i blocchi contrapposti avevano tenute congelate. Da
questo punto di vista la Centesimus annus "entra in tema" alla
globalizzazione ancora agli inizi.
L'epoca della prima forte
globalizzazione è stata soprattutto quella degli anni Novanta: dal 1994, in particolare,
il cablaggio dell'intero pianeta mediante internet diventa realtà. La
tecnologia informatica ha un ruolo di fondamentale importanza, essendo alla
base del superamento dei limiti di spazio e tempo.
Giovanni Paolo II aveva spesso messo in
evidenza l'ambivalenza della globalizzazione. La nostra difficoltà a inquadrare
il fenomeno dipenderebbe almeno da tre elementi: la sua novità, il fatto che è
tuttora in corso e quindi non si può ancora verificare quale strada prenderà,
una carenza di conoscenza e valutazione empirica, la carenza di dati certi.
Il problema è che nella misura in cui
non riusciamo a governare il fenomeno, non riusciamo nemmeno a conoscerlo. La
globalizzazione non è un fenomeno naturale che, prima si conosce e poi si
governa; essa è un fenomeno umano, legato all'esercizio della libertà e della
responsabilità di ciascuno. Capiremo adeguatamente la globalizzazione quando
riusciremo a governarla.
Ci chiediamo allora se per arrivare a
una vera e propria conoscenza e comprensione del fenomeno non sia necessaria
una visione precedente e maggiormente sintetica di quella offerta dalle Scienze
sociali, una visione etica e antropologica.
Globalità starebbe a
indicare la realtà dell'umanità globalizzata.
Globalizzazione sta invece a
significare il processo e le dinamiche in atto, la spinta in corso: l'umanità
globale (o globalità) si integra mediante un processo che è altro da se. La globalizzazione, a priori, non è né
buona né cattiva. Sarà ciò che le persone ne faranno.
Globalismo - ma meglio sarebbe
dire "globalismi" al plurale - indica invece l'ideologia o meglio le
ideologie che stanno dietro alla globalizzazione e la orientano verso una certa
idea di globalità piuttosto che un'altra.
La Chiesa, con la sua proposta di una
globalizzazione orientata a un umanesimo plenario, invita a <<non
rassegnarsi ad una mondializzazione fondata unicamente su criteri economici e
neppure a rimettersi alla fatalità di meccanismi ciechi>>.
Detrattori e sostenitori ad ogni costo,
pur nella diversità delle loro opinioni, convengono nel considerare la
globalizzazione alla stregua di un meccanismo che si autoimpone,. C'è bisogno,
invece, di considerare il fenomeno come condizionante, ma non determinante, in
quanto anch'esso dipende dalla libertà umana, <<E' l'uomo il protagonista
dello sviluppo, non il denaro o la tecnica>>, ribadiva continuamente
Giovanni Paolo II.
Pur riguardando anche l'aspetto
economico e finanziario della globalizzazione, ha come oggetto primario i suoi
inevitabili riflessi umani, culturali e spirituali. La consapevolezza che la
tecnica non è mai solo un fatto tecnico ci dà conferme circa le sue conseguenze
umane, culturali e spirituali, ma anche circa le sue origini umane, culturali e
spirituali.
Una variante del determinismo materialistico
è l'economicismo, che consiste nel ritenere che la globalizzazione sia
conseguenza necessaria delle logiche del mercato.
Ciò non elimina, tuttavia, la libertà e
la responsabilità dell'uomo: le strutture <<dipendono sempre dalla
responsabilità dell'uomo che le può modificare, e non da un presunto
determinismo storico.
Tutte le molteplici cause vengono
ridotte ad un'unica: la globalizzazione. La disoccupazione, la povertà, il
sottosviluppo, la criminalità internazionale, la difficoltà delle politiche di
welfare nei Paesi occidentali, il degrado ambientale, lo sfruttamento delle
risorse non rinnovabili, il pericolo di estinzioni di specie vegetali ed
animali sarebbero tutte conseguenze di quest'unica causa.
Attribuire ogni colpa in modo indistinto
alla globalizzazione significa liberare dalle loro eventuali colpe i vari
soggetti coinvolti: governi, organismi internazionali, élites corrotte dei
Paesi poveri, imprese.
Il cristianesimo ha introdotto nella
storia il concetto di una comune umanità estesa fino agli estremi confini della
terra, inserendo nella civiltà un dinamismo di elevazione della dignità della
persona e, contemporaneamente, di estensione oltre ogni limite e confine di
questa umanità.
Rileggendo le encicliche sociali, si
nota indubbiamente un crescendo delle riflessioni sulla globalizzazione; alcune
segnano un particolare avanzamento in questo percorso: la Quadragesimo anno
(1931), la Pacem in Terris (1963), la Populorum progressio (1967), la
Centesimus annus (1991).
Esiste un nesso molto intimo tra
globalizzazione e Dottrina Sociale della Chiesa la cui radice ultima si può
precisare nei termini seguenti: la Dottrina Sociale, che si radica nel
messaggio evangelico, possiede una spinta unificante, che è l'intero genere
umano. La globalizzazione è stata accolta dalla Dottrina Sociale in misura
sempre maggiore con il susseguirsi delle encicliche sociali, mentre la stessa
Dottrina Sociale si globalizzava sempre di più. Un aspetto senz'altro
importante della dimensione di globalità della Dottrina Sociale è quello
antropologico. Quella cristiana è un'antropologia di totalità, al servizio
della singola persona.
Una società è aperta quando è democratica,
riconosce ai cittadini ampie possibilità di scelta e fornisce loro, mediante il
progresso economico e la tolleranza istituzionale, le possibilità concrete di
esercitarle. Il concetto di "società aperta" assume come centrale il
criterio della libertà, intesa come aumento delle possibilità di scelta. I progetti cosmopolitici di matrice
illuminista finiscono per dimenticare l'uomo concreto.
La globalizzazione non è solo un fatto
tecnico o economico, ma anche, e forse soprattutto, culturale. Essa
potenzialmente mette in scacco tutte le culture e, proprio per questo, richiede
una nuova cultura. Essa obbliga le culture a confrontarsi non solo a distanza,
ma ormai anche nello stesso quartiere o nello stesso caseggiato.
C'è poi il problema del "perché".
Non sembri un paradosso, ma la globalizzazione solo apparentemente abolisce i
limiti, in realtà li fa emergere. Fa emergere i limiti dello sviluppo, quelli
della manipolazione del creato, i limiti del mercato e della politica, quelli
della tecnica lasciata a se stessa.
La globalizzazione ha bisogno
dell'autorità rappresentata dalla morale, perché è manifesta l'<<esigenza
di una norma morale universale.
Non solo la morale è in se un'autorità,
bensì essa fonda e legittima ogni altro tipo di autorità. La morale richiede
<<la fiducia reciproca, il sostegno vicendevole, il rispetto
sincero>>: la trasparenza e la fiducia nelle relazioni bilaterali e
multilaterali; il rispetto dei patti e promesse fatte; la parità nelle
contrattazioni; l'equità nei trattamenti; l'osservanza delle regole; la tutela
dei deboli e delle minoranze; la rinuncia alla violenza e alla guerra; il
rispetto dei diritti umani. Questi atteggiamenti schiettamente morali
trasformano ogni potere in autorità.
La solidarietà cristiana è destinata a
tutti. Secondo la celebre definizione della Sollecitudo rei socialis, la
solidarietà è la decisione perseverante di sentirsi responsabili di tutti.
Tra globalità, globalizzazione e
globalismo il concetto fondamentale rimane quello di globalità, che nella
dottrina sociale della Chiesa viene indicata solitamente con le espressioni
"dimensione universale della famiglia umana" e "unità del genere
umano".
EMMANUELE
Fonte:
Globalizzazione. Una prospettiva cristiana, di Gianpaolo Crepaldi editrice
Cantagalli
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