Tratto dalla Newsletters n. 89 di Aprile a cura di Marco Invernizzi di Alleanza Cattolica
Care amiche, cari amici
mi sembra appaia con sempre maggiore evidenza
come il motivo dominante del pontificato di papa Francesco sia
l'evangelizzazione, cioè portare il Vangelo in quelle periferie del mondo dove
è stato dimenticato, rifiutato oppure mai annunciato. La sua omelia sulla
Divina
misericordia nella Domenica dedicata a questa grande festa istituita dal
beato Giovanni Paolo II, la catechesi del mercoledì successivo dedicata al
mistero della Resurrezione sono soltanto gli ultimi interventi di un inizio di
pontificato segnato da discorsi o omelie che hanno lo scopo di invitare i
cattolici a diventare dei missionari in un mondo scristianizzato. Missionari
con l'esempio della propria vita anzitutto, ma uomini e donne impegnati
nell'apostolato, che prevede l'evangelizzazione e la formazione di chi ha
scelto di essere un discepolo di Cristo.
Questo aspetto cozza contro due mentalità
diverse, entrambe presenti nella vita della Chiesa contemporanea. La prima
mentalità nasce dall'errore di ritenere che non si debba promuovere la
conoscenza di Cristo attraverso l'apostolato, perché offenderebbe la libertà
dei non credenti. La seconda nasce dalla mancanza di fervore, da un amore
insufficiente per Cristo e per la Chiesa che spinge a "farsi gli affari
propri" e a non preoccuparsi per la salvezza degli altri, oppure a
rivolgersi sempre alla stessa cerchia di persone interessate a un solo aspetto
della vita di fede.
Il cattolico non può mai sentirsi appagato, non
preoccupato delle cose che non vanno bene e soprattutto delle persone che non
credono. E non può neppure interessarsi soltanto delle cose che funzionano male
dentro la Chiesa, o degli scandali e dei tradimenti, che non mancano,
dimenticandosi che il primo compito della Chiesa è quello di evangelizzare,
come scrive papa Paolo VI nell'esortazione apostolica Evangelii nuntiandi
nel 1975.
Fare apostolato costa fatica, indubbiamente. Significa
farsi carico del prossimo, dedicare tempo agli altri, alla loro conversione o
alla loro formazione, pregare e fare dei sacrifici per loro. Ma chi non si
preoccupa per un figlio? O per un amico? Fare apostolato significa proprio
sentirsi in qualche modo responsabili degli altri.
Il cristianesimo del resto si è sviluppato così,
come si legge negli Atti degli apostoli. Qualcuno si è fatto carico degli
altri, sacrificando qualcosa di sé. Così si è realizzata la prima
evangeIizzazione, così è nata la cristianità in Occidente e in Oriente, così
sono state gettate le basi perché ci fosse l'Europa delle cattedrali.
Il Magistero pontificio ci chiede di diventare
missionari di questo tipo almeno dal 1975, da quando si comincia a definire
almeno implicitamente la nuova evangelizzazione, ma anche da prima, dai grandi
discorsi del servo di Dio Pio XII sull'apostolato dei laici al discorso
inaugurale del Concilio Vaticano II del beato Giovanni XXIII, l'11 ottobre
1962.
Siamo noi a opporre resistenza a questo invito. Alcuni
si oppongono perché non lo condividono, altri perché sono troppo preoccupati da
altri problemi.
In Alleanza Cattolica non credo si corra il
primo rischio, ma il secondo riguarda tutti i cristiani. Il fervore, come la
fede, è un dono che bisogna sempre chiedere e coltivare con la preghiera e con
i sacramenti, perché si può anche perdere.
L'incontro che abbiamo organizzato lunedì 8 aprile a
Milano con don Andrea Brugnoli sulla nuova evangelizzazione credo sia stato
molto importante per comprendere come il problema sia soprattutto quello di
assumere una mentalità missionaria, mentre solitamente pensiamo alle cose da fare,
ai problemi dottrinali o organizzativi che pure sono importanti ma soltanto se
servono a fare conoscere la verità. Il suo recente libro “È tempo di
svegliarsi” (Paoline 2012), serve molto in questo senso.
Rileggevo proprio in questi giorni la storia della
tragedia della conquista del sud dell'Italia, raccontata attraverso le belle
pagine di un romanzo, “L'alfiere” di Carlo Alianello, da poco ristampato.
Allora i cattolici vennero sconfitti per il tradimento di chi perse la fede e
anche il fervore, consegnando la vittoria ai nemici. Così moriva un pezzo
d'Italia, così morirà lentamente l'Occidente, nei decenni a seguire.
Preghiamo perché questa tragedia non si ripeta anche
oggi. Preghiamo per avere tanto fervore per dedicarci al prossimo, per amarlo
concretamente come amiamo noi stessi.
E seguiamo il Pontefice che, con la sua umiltà, sta
portando in confessionale molti "lontani", svolgendo così un
apostolato illuminante ed esemplare.
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