venerdì 5 agosto 2016

AMORE E VITA



Così la malattia diventa fonte di vita e amore

            Così lucente dopo aver accudito per sei anni il marito Ugo, malato di Sla e tornato alla casa del Padre il 31 dicembre del 2015, mentre nelle chiese di mezzo mondo si recitava il Te Deum, ringraziando Dio insieme a lei. Ma ringraziando di cosa? "O sei pazza, o Dio esiste e può Tutto". Silvia parla al plurale e al presente, "perché mio marito è qui, in un altro modo ma c'è.

            Chioggiotta decisa, e dalla fede solida, Silvia sposa il milanese Ugo nel 2005  dopo aver compreso che "Dio ci aveva destinati l'uno all'altra, fin dalla notte dei tempi, per farci santi". I due si incontrano a Parma durante una gita con amici comuni. "Alla prima impressione non gli avrei dato un soldo: mi pareva un uomo solitario e chiuso e pensai di aiutarlo a trovare degli amici". In realtà, Ugo sa bene cosa vuole e le chiede il numero di telefono.

            I due cominciano a sentirsi e sebbene Silvia stesse pensando ad altre strade, una sera, mentre è al telefono con Ugo, comprende che sono chiamati a stare insieme per sempre. "Ugo voleva sposarmi immediatamente, ma io rifiutai". Di fronte al no, lui non si scompone: "Sei tu la donna che devo sposare, non c'è problema ti aspetto". Un anno dopo, nel maggio del 2005, sono in Chiesa. "Quel giorno non ero per nulla agitata, ma perfettamente consapevole del passo che stavo facendo. Ora so che il suo cuore è grande, che Lui m'amerà e m'amerà per sempre e so che Lui resterà fedele e che poi mi seguirà in ogni strada che io, che io prenderò. E luce ai miei passi, sarà il mio Signor. Lui m'assicura che fatica e dolore non sono senza una, senza una speranza. Per questo io lo seguo e Lui è il mio Signor".

            La vita prosegue ordinariamente: "Pensammo a comprare una casa più grande e ad aprire un mutuo, sebbene non navigassimo nell'oro. Poco prima di traslocare, insieme alla notizia della seconda gravidanza, arriva quella della malattia: "Attribuivo la stanchezza di mio marito allo stress lavorativo, ma il neurologo fu lapidario: "Lei ha sicuramente la Sla: non faccia progetti a lungo termine, le restano al massimo cinque anni e se vuole fare una corsa la faccia subito, perché tra poco non correrà più".

            Nel settembre 2009 nasce Letizia e il primo novembre, giorno di tutti i santi, Ugo viene ricoverato per insufficienza respiratoria. "Uscì dall'ospedale, un mese più tardi, sulla sedia a rotelle". Fu sconfortante ma importantissima per capire che noi, da soli, possiamo anche dare il sangue ma non possiamo fare nulla".

            Lei che si definisce testarda è certa che per stare in piedi le sarebbe servita "una modalità inequivocabile per riconoscere che non posso nulla se non appoggiarmi totalmente a chi può tutto: compreso e accettato questo, la nostra vita fu un fiorire di meraviglie".

            Da Ugo e Silvia molti giovani vanno a imparare a vivere e ad amare, "ma il sostegno più importante era quello misterioso, che non posso identificare con dei volti precisi, ma che passava da quanti si univano alla catena di preghiere, per cui sapevamo di avere almeno un rosario al giorno solo per noi.

            Nel 2011 Ugo ha una crisi e deve scegliere, o lasciarsi morire o accettare la ventilazione e l'alimentazione artificiali: "Voleva vivere, perciò ci ritrovammo in casa con nuovi macchinari da gestire.

            A marzo del 2015 si sarebbe svolto l'incontro del movimento di CL a Roma con il Pontefice. Chiesi a Ugo se voleva andare, mi disse di sì, ma non c'erano più alberghi adatti ad ospitarci. Provai in una struttura, pensando che se anche lì ci avessero respinto significava che dovevamo rimanere a casa. Invece l'albergatore prese la cornetta e mi disse: "Non esiste che per un problema tecnico lei resta a casa. Dovete venire dal Papa".

            Le complicazioni peggiori, predette dai medici, e che sarebbero potute durare tutti gli anni della malattia, arrivarono solo dopo il 25 dicembre: "Il 30 il medico mi disse di chiamare gli amici che voleva salutare, confessandomi che raramente aveva visto una tenacia simile. E la tenacia fu anche nel sì alla morte". Il 31 dicembre in ospedale si assiste a un pellegrinaggio continuo: "La gente se ne andava confortata. Poi quando Ugo spirò pensai: tutto è compiuto, cioè tutto quello che dovevamo fare insieme in questa tappa sulla terra è stato fatto".

            Silvia, i cui tratti paiono sempre più trasfigurati, spiega: "Mi sento una privilegiata, perché mi sono sentita come la Madonna quando ha portato Cristo fino alla Croce con dolore e speranza". E ora? "Con Ugo presente, seppur diversamente, e poggiata alla compagnia di Dio devo solo continuare a dire sì a quello che mi è chiesto dall'alzarmi dal letto, al lavorare, all'occuparmi dei figli, sapendo che è così che il Signore salva me e il mondo. Non ho paura". Perché, come Silvia ha ricantato al funerale dove qualcuno l'ha scambiata per una sposa: "Ora so che il suo amore è grande, che Lui m'amerà e m'amerà per sempre e so che Lui resterà fedele e che poi mi seguirà in ogni strada che io, che io prenderò. E luce sui miei passi, sarà il mio Signor. Lui m'assicura che fatica e dolore non sono senza una speranza. Per questo io lo seguo e Lui è il mio Signor".

FONTE: Benedetta Frigerio; lanuovabq.it; 21-02-2016

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