Care amiche,
cari amici
Ho l'impressione che stiamo perdendo
di vista le cose importanti, distratti dall'assoluzione di Silvio Berlusconi,
dal superamento del bicameralismo perfetto e da altri problemi, che certamente
avranno un loro perché. Ma intanto, ai confini del mondo occidentale, si
combatte fra ucraini e separatisti filo-russi, nel Sud del mondo viene creata
una zona omogenea islamica, dalla quale i cristiani presenti sono stati
costretti ad andarsene, e riprende il conflitto fra Israele e i palestinesi, in
particolare contro il movimento terroristico di Hamas.
La proclamazione del califfato nelle
zone che si estendono da Aleppo, nel nord della Siria, all'interno della zona
orientale dell'Iraq, pone importanti motivi di riflessione. Il califfato è ciò
che divide i musulmani sciiti da quelli sunniti. Questi ultimi hanno sempre
desiderato avere un unico punto di riferimento, politico e religioso, appunto
nel Califfo, ma l'ultimo califfo venne spazzato via dalla Turchia laicista
moderna nel 1924, senza mai più ritornare.
Oggi, in Iraq, ma partendo da alcune
zone controllate all'interno della Siria, il neo califfo Abu al-Baghdadi
con le sue truppe sunnite ha liberato pezzi di terra di Siria ed Iraq dove non
c'erano gli avversari sciiti e dove ha fatto scomparire la minoranza cristiana,
costringendola a emigrare.
Nella Piana di Ninive, nella città
di Mosul, sede dell'arcivescovado della Chiesa caldea e di decine di chiese
cristiane, i cristiani non esistono più. Un bimillenario pezzo di cristianità
scompare, con i cristiani assassinati, umiliati, comunque costretti ad
abbandonare le loro case e le loro chiese. Sono i cristiani evangelizzati da
san Tommaso apostolo, diventati nestoriani, alcuni dei quali sono ritornati in
comunione con Roma nel XVI secolo. Erano comunque tutti cristiani, ai quali i
terroristi dell'Isis, lo Stato islamico dell'Iraq e del Levante, non hanno
chiesto a quale confessione appartenessero, ma li hanno uccisi o costretti
all'esilio.
Il neo califfo non viene tenuto in
grande considerazione all'interno del mondo sunnita, neppure da Al'qaida, dalla
quale peraltro proviene, e viene ovviamente odiato e combattuto dagli sciiti,
ma in qualche modo è comunque riuscito a occupare un territorio non piccolo e
ad eliminare la presenza cristiana.
Il Papa li ricorda spesso. Lo ha
fatto ripetutamente nelle omelie a santa Marta, in particolare il 30 giugno, e
ancora nell'Angelus di domenica scorsa. Ma queste parole non vengono riprese
nelle omelie domenicali (o meglio questa è la mia percezione) e non diventano
un programma di preghiera per le diverse parrocchie, per i gruppi di preghiera,
i movimenti e le associazioni. Tantomeno se ne occupa il Parlamento, troppo
impegnato a riformare lo Stato, e anche la stampa, tranne quella cattolica.
Noi possiamo fare poco,
apparentemente. Ma la preghiera può tantissimo, se siamo capaci di ricordare le
loro sofferenze e se riuscissimo a organizzare delle veglie e degli incontri
pubblici. La presenza della minoranza cristiana, per secoli, è stata una testimonianza
della fede nel Signore Risorto, ma anche un monito a rispettare la libertà
religiosa, un monito rivolto alle due famiglie dell'islam che oggi sono
tragicamente coinvolte in una guerra civile devastante, in tutto il Medio
Oriente. In Iraq, come in Siria, i cristiani non sono arrivati dopo, ma
rappresentano la radice delle rispettive storie nazionali. Hanno superato la
prima ondata islamista nel VII secolo e le eresie che avevano precedentemente
deturpato il corpo unito della cristianità, così come hanno saputo superare il
nazionalismo del XIX secolo e la tentazione socialista e comunista nel XX.
Adesso, un'altra terribile prova li aspetta. Le nostre preghiere e il nostro
sostegno li accompagnino affinché la auxilium christianorum abbrevi e
addolcisca il loro dolore e permetta loro di tornare al più presto nelle loro
case.
EMMANUELE
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