Benedetto Giuseppe Labre sembra
essere stato ovunque, sembra essere passato dappertutto. Forse perché ha
camminato tanto, ha viaggiato tanto per quei suoi tempi lontani ai nostri
occhi; e senza dubbio perché, a differenza dei molti che passano nei luoghi
senza lasciarne il ricordo, dovunque egli è passato ha lasciato l'orma della
sua carità, del suo sorriso, del suo carisma nascosto sotto gli abiti
stracciati, i pidocchi e la sporcizia del suo corpo abituato alle penitenze di
quel tempo attraverso il quale gli fu chiesto di santificarsi e nel quale gli
fu domandato di essere testimone del Dio che è tutto, che è il Solo, che è per
sempre.
Ma allora: chi è questo silenzioso
santo la cui figura ha attraversato i secoli ed è giunta fino a noi con una
freschezza ed esemplarità di vita che commuovono e attraggono?
Benedetto Giuseppe nacque ad
Amettes, fra le colline dell'Artois, il 26 marzo 1748 da una famiglia contadina
ricca di figli - quindici - e di sane, profonde virtù umane e spirituali. In
famiglia ci sono due zii sacerdoti - una paterno e uno materno - che
contribuirono molto alla sua formazione; in realtà Benedetto Giuseppe avrà un
suo personale e doloroso itinerario spirituale. Verso i dodici anni si recherà
da uno zio paterno, parroco di Erin, suo padrino, dove passerà buona parte
della sua adolescenza. Con lo zio intraprese gli studi, compreso quello della
lingua latina; ben presto Benedetto Giuseppe mostrò però altri interessi: egli
spesso si astraeva in contemplazione dell'Assoluto di Dio, la Cui presenza
vivissima custodiva nel suo cuore.
Tutto questo suo "tormento
interiore" lo indusse a ricercare lo spogliamento e la penitenza come
forma di riparazione e di lode, secondo la spiritualità del suo tempo ma anche
secondo uno spirito nuovo che lo toglieva da ogni sicurezza umana per farne uno
"che non aveva dove posare il capo".
Così si affascinò alla lettura di un
testo trovato nella biblioteca dello zio: trovò un libro di prediche di un
Oratoriano, del secolo precedente, Padre Le Jeune, detto il cieco. Le sue
omelie, tutte incentrate sul timore e tremore di Dio, coinvolsero profondamente
l'animo di Benedetto Giuseppe.
Fu invitato prima da uno zio
materno, il canonico François Henri Vincent, ma l'esperienza fu negativa e i
genitori lo ripresero a casa. Qualche settimana dopo lo zio si offrì di
presentarlo alla Certosa di Neville-sous-Montreil, ritenuta meno severa della
Certosa e più idonea al suo fisico gracile e già consumato dalla penitenza.
Anche qui un'altra delusione: il priore gli disse che doveva prima imparare il
canto e qualche nozione di filosofia. Il 6 ottobre 1767, dopo alcuni mesi
trascorsi nello studio e nella preghiera, ritornò a Montreil e questa volta fu
accettato, ma il suo soggiorno durò solo sei settimane. Fu congedato con questa
motivazione: salute troppo fragile, angoscia perenne, eccesso di severità.
Benedetto Giuseppe non si scoraggiò e puntò alla Trappa di Soligny dove giunse
nel novembre 1767, dopo aver percorso a piedi, sotto una pioggia torrenziale,
60 leghe. Altra delusione: fu congedato. Ai dubbi del Padre Maestro circa la
possibilità effettiva del postulante di intraprendere una vita così austera si
unì la troppo giovane età.
Ma ci voleva ben altro per far
recedere una creatura che sentiva nel cuore la passione di Dio! Eccolo al
Monastero Cistercense di Sept-Fons nella diocesi di Autum. Qui finalmente fu ricevuto
e iniziò il noviziato con il nome di Fratel Urbano l'11 novembre 1769. Ma il
Padre Abate lo congedò con queste parole: "Figlio mio, voi non eravate
destinato al nostro convento. Dio vi attende altrove"!
EMMANUELE
FONTE:
Titolo: San Benedetto Giuseppe Labre una follia diventata amore; Editore: Laus
Caritas
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