lunedì 23 giugno 2014

SAN BENEDETTO GIUSEPPE LABRE. PARTE 1



            Benedetto Giuseppe Labre sembra essere stato ovunque, sembra essere passato dappertutto. Forse perché ha camminato tanto, ha viaggiato tanto per quei suoi tempi lontani ai nostri occhi; e senza dubbio perché, a differenza dei molti che passano nei luoghi senza lasciarne il ricordo, dovunque egli è passato ha lasciato l'orma della sua carità, del suo sorriso, del suo carisma nascosto sotto gli abiti stracciati, i pidocchi e la sporcizia del suo corpo abituato alle penitenze di quel tempo attraverso il quale gli fu chiesto di santificarsi e nel quale gli fu domandato di essere testimone del Dio che è tutto, che è il Solo, che è per sempre.

            Ma allora: chi è questo silenzioso santo la cui figura ha attraversato i secoli ed è giunta fino a noi con una freschezza ed esemplarità di vita che commuovono e attraggono?


            Benedetto Giuseppe nacque ad Amettes, fra le colline dell'Artois, il 26 marzo 1748 da una famiglia contadina ricca di figli - quindici - e di sane, profonde virtù umane e spirituali. In famiglia ci sono due zii sacerdoti - una paterno e uno materno - che contribuirono molto alla sua formazione; in realtà Benedetto Giuseppe avrà un suo personale e doloroso itinerario spirituale. Verso i dodici anni si recherà da uno zio paterno, parroco di Erin, suo padrino, dove passerà buona parte della sua adolescenza. Con lo zio intraprese gli studi, compreso quello della lingua latina; ben presto Benedetto Giuseppe mostrò però altri interessi: egli spesso si astraeva in contemplazione dell'Assoluto di Dio, la Cui presenza vivissima custodiva nel suo cuore.

            Tutto questo suo "tormento interiore" lo indusse a ricercare lo spogliamento e la penitenza come forma di riparazione e di lode, secondo la spiritualità del suo tempo ma anche secondo uno spirito nuovo che lo toglieva da ogni sicurezza umana per farne uno "che non aveva dove posare il capo".

            Così si affascinò alla lettura di un testo trovato nella biblioteca dello zio: trovò un libro di prediche di un Oratoriano, del secolo precedente, Padre Le Jeune, detto il cieco. Le sue omelie, tutte incentrate sul timore e tremore di Dio, coinvolsero profondamente l'animo di Benedetto Giuseppe. 

            Fu invitato prima da uno zio materno, il canonico François Henri Vincent, ma l'esperienza fu negativa e i genitori lo ripresero a casa. Qualche settimana dopo lo zio si offrì di presentarlo alla Certosa di Neville-sous-Montreil, ritenuta meno severa della Certosa e più idonea al suo fisico gracile e già consumato dalla penitenza. Anche qui un'altra delusione: il priore gli disse che doveva prima imparare il canto e qualche nozione di filosofia. Il 6 ottobre 1767, dopo alcuni mesi trascorsi nello studio e nella preghiera, ritornò a Montreil e questa volta fu accettato, ma il suo soggiorno durò solo sei settimane. Fu congedato con questa motivazione: salute troppo fragile, angoscia perenne, eccesso di severità. Benedetto Giuseppe non si scoraggiò e puntò alla Trappa di Soligny dove giunse nel novembre 1767, dopo aver percorso a piedi, sotto una pioggia torrenziale, 60 leghe. Altra delusione: fu congedato. Ai dubbi del Padre Maestro circa la possibilità effettiva del postulante di intraprendere una vita così austera si unì la troppo giovane età. 

            Ma ci voleva ben altro per far recedere una creatura che sentiva nel cuore la passione di Dio! Eccolo al Monastero Cistercense di Sept-Fons nella diocesi di Autum. Qui finalmente fu ricevuto e iniziò il noviziato con il nome di Fratel Urbano l'11 novembre 1769. Ma il Padre Abate lo congedò con queste parole: "Figlio mio, voi non eravate destinato al nostro convento. Dio vi attende altrove"!
           
EMMANUELE

FONTE: Titolo: San Benedetto Giuseppe Labre una follia diventata amore; Editore: Laus Caritas

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