L'altro Paolo
VI
Care
amiche, cari amici,
Oggi, domenica 19 ottobre, papa Paolo
VI viene beatificato in piazza san Pietro da papa Francesco, al termine del
Sinodo straordinario sulla famiglia.
In questi giorni, ma possiamo
estendere la cosa ai decenni successivi alla sua morte, i quindici anni del
pontificato (1963-1978) sono stati celebrati quasi esclusivamente da coloro che
lo hanno biasimato accusandolo, più o meno esplicitamente, di essere stato
l'affossatore del Concilio dopo la sua elezione e negli anni successivi
alla chiusura dei lavori conciliari.
Questi intellettuali,
sostanzialmente riconducibili alla “Scuola di Bologna” fondata da don Giuseppe
Dossetti (1913-1996), hanno egemonizzato per mezzo secolo l'interpretazione del
Concilio Vaticano II leggendolo come un evento di rottura con la storia
precedente della Chiesa. In questa lettura non c'era posto per Paolo VI, se non
come il Papa che ha spento lo "spirito del Concilio" limitandosi ad
applicarne la "lettera". Ma la cosa inquietante è che questi stessi
uomini sono stati principalmente i gestori della presentazione di Paolo VI
emersa sulla stampa e sulle radio e televisioni in questi giorni. È stato così
perlomeno sorprendente ascoltare Alberto Melloni "spiegarci" e "raccontarci"
Paolo VI alla Rai, proprio lui che è il discepolo di Giuseppe Alberigo
(1926-2007) che a sua vota è il discepolo di don Dossetti, che proprio Paolo VI
fece allontanare dai lavori conciliari.
Contro l'interpretazione del Concilio
come rottura rivoluzionaria, Paolo VI ha combattuto durante tutto il suo
pontificato, con innumerevoli interventi rivolti a condannare questa lettura
sia nella sua versione "progressista" (quella dominante) sia nella
versione "tradizionalista", quella che portò alla rottura nel 1976 (sospensione
a divinis) e nel 1988 (scomunica) con la fraternità sacerdotale San Pio
X guidata dal vescovo mons. Marcel Lefebvre.
Questa lettura del Concilio come
"riforma nella continuità" ha faticato a imporsi e ancora oggi trova
grandi ostacoli a penetrare nell'opinione pubblica, in parte anche per la
sudditanza nei confronti degli intellettuali della “Scuola di Bologna” che si
sono annidati nelle redazioni di molti mezzi di comunicazione da dove
continuano a fornire la loro lettura dei fatti.
Eppure questa battaglia
interpretativa del pontificato di Paolo VI è importantissima perché investe
tutta la recente storia della Chiesa. Noi oggi continuiamo ad ascoltare luoghi
comuni che non tengono, per esempio, in alcun conto i due discorsi di papa
Benedetto XVI del dicembre 2005 (quando appunto condannò la riforma senza la
continuità e la continuità senza la riforma) e al termine del pontificato,
quando il 14 febbraio 2013 mise in contrapposizione il Concilio di carta con
quello dei documenti. Così non emergono, per esempio, la sua ostilità
all'apertura a sinistra della Dc quando era arcivescovo di Milano, la rinnovata
condanna del comunismo nella sua prima enciclica Ecclesiam suam e il
significato missionario del dialogo che caratterizza questo documento, così
come si fatica a fare emergere la sua posizione per cui, accanto alla
collegialità, rimane il primato di Pietro espresso nella Nota praevia
durante il Concilio. E, soprattutto, appare sempre come una posizione criticata
la sua enciclica profetica sulla sacralità della vita e del modo di
trasmetterla, contenuta nell'enciclica Humanae vitae del 1968, che venne
molto contestata anche all'interno della Chiesa. Così come, si parla pochissimo
della sua Professione di fede, sempre nel 1968, in occasione della chiusura
dell'Anno Santo, che ribadì in modo solenne la fede della Chiesa di fronte al
dilagare della contestazione, anche intraecclesiale. Cosi come, ancora, non
viene quasi mai presentata la spinta verso una nuova evangelizzazione del mondo
ormai quasi postmoderno contenuta nell'esortazione apostolica del 1975 Evangelii
nuntiandi, che i suoi successori continuamente riprenderanno come base
della nuova evangelizzazione degli antichi Paesi cristiani d'Occidente.
Insomma, l'ossessiva presentazione presente nei media questi giorni di Paolo VI
come Papa del dialogo e dell'apertura al mondo moderno, senza spiegare come
Montini intendesse entrambi come due modi per convincere il mondo che la
salvezza si trova in Cristo, è una presentazione parziale, quindi ideologica,
maliziosa e fuorviante.
Ma questa situazione triste e
dolorosa aiuta a mettere in luce anche una grave mancanza, già messa in
evidenza dal card. Camillo Ruini, sull'assenza di autori e opere che aiutino a
comprendere e a spiegare quanto indicato nei testi del Magistero. E qui tanti
devono (dobbiamo) fare un vero e proprio esame di coscienza perché a parte le
preziose e documentate opere del vescovo Agostino Marchetto che confutano le
tesi della “Scuola di Bologna”, poco o nulla esiste.
Allora, prima di lasciare la parola a
Papa Francesco che oggi ha celebrato la Messa di beatificazione di Paolo VI, mi
permetto di indicare, senza alcuna pretesa di completezza, due recenti opere
che possono aiutare a comprendere in maniera non ideologica l'importante
pontificato di papa Montini:
Il contributo, per esempio, di mons.
Ennio Apeciti sul periodo del pontificato nel volume a cura di Xenio Toscani, Paolo
VI. Una biografia, Istituto Paolo VI - Ed. Studium, 2014, e il testo
ripubblicato dello storico francese Yves Chiron, Paolo VI. Un papa nella
bufera, Lindau 2014, che aiuta a ripercorrere la vita del beato.
L'omelia della Messa di
beatificazione si può leggere sul sito della Santa Sede www.vatican.va
EMMANUELE
Fonte: Marco
Invernizzi di Alleanza Cattolica
Nessun commento:
Posta un commento