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Edizione della più famosa kermesse della canzone italiana giunta ieri sera alla
conclusione con la vittoria di Roberto Vecchioni.
Sanremo,
città dei fiori (che a dire il vero quest’anno non hanno fatto parte
dell’arredamento del teatro Ariston se si eccettua qualche mazzo regalato agli
ospiti invitati alle cinque serate), anche quest’anno si è rivestita di musica.
“Chi
canta prega due volte” si dice, perché la musica è una di quelle forme d’arte
che permette di esprimere i sentimenti di gioia o dolore che vengono dal
profondo del cuore. Il beato Luigi Maria Monti, imprigionato ingiustamente per
72 giorni con i suoi confratelli, passava le lunghe giornate della stretta
prigione cantando e la popolazione di Desio ogni sera si raggruppava sotto le
finestre per ascoltare l’inedito “gruppo canoro”. E lo stesso fanno i giovani
tra le fiamme nel libro del profeta Daniele: cantano.
Poiché
si usa dire che è sempre la canzone che a vincere e non l’interprete, non si può
non applaudire la bravura di tutta l’orchestra, nell’era della musica
digitalizzata il suono di violini e flauti ha sempre il suo gran fascino.
La
tradizione vuole che il testo della classica canzone sanremese debba essere un
testo che canti l’amore ma, come spesso accade, alcuni autori cercano
l’eccezione che poi raramente ha successo.
Secondo
la statistica, quest’anno la parola Amore nei testi delle canzoni è stata
nettamente in calo rispetto alle precedenti edizioni, ma al grande Totò che
diceva: “E’ la somma che fa il totale”,
rispondo con la frase del nostro Padre Giuseppe Bonardi: “Se un uomo mette i piedi in un secchio pieno di ghiaccio e la testa in
un forno acceso, avrà una temperatura media…perciò la statistica non sempre
conta”.
Se
l’amore cantato è anche un amore tradito, ecco la proposta di Anna Tatangelo
che, eliminata e poi ripescata, pone l’interrogativo sulla necessità di
intitolare la sua canzone con una parolaccia e ripeterla a gran voce più volte
nel testo quasi ad imitazione di Marco Masini di qualche anno fa.
Nell’anno
dei 150 anni dell’Unità d’Italia, ai primi posti viene quasi salomonicamente
rappresentata l’Italia dal Nord al Sud: Al Bano ed Emma salentini doc,
Vecchioni per il Nord insieme ai Modà (Kekko, il bravo solista è milanese ma
mette tutti d’accordo tifando Napoli).
Peccato
per la caduta dei La Crus
che, nonostante il nome possa ricordare la croce e il titolo della canzone sia
“Io confesso”, non mancano di sottolineare cosa mai ci possa essere di male nel
tradimento non essendo per loro un peccato “perché
non credo in Dio”. Sarà forse un inizio di ravvedimento quando chiedono: “…e un’altra possibilità io la voglio”?
Mi auguro di sì.
Una
citazione per la canzone “alla Pezzali” di Max Pezzali che prosegue la sua linea di parafrasare gli
eventi della sua vita con termini calcistici con “Il mio secondo tempo”…Nella
prossima edizione ci aspettiamo “I minuti di recupero”!
Non manca la canzone patriottica (Tricarico) che infatti viene eliminata grazie ad un momento storico in cui la propria patria è apprezzata solamente da chi è costretto a lasciarla.
Non manca la canzone patriottica (Tricarico) che infatti viene eliminata grazie ad un momento storico in cui la propria patria è apprezzata solamente da chi è costretto a lasciarla.
Classica
anche la presentazione di Al Bano che, impareggiabile, “gioca” con la forza della
sua straordinaria voce.
I
Modà ed Emma sono la rappresentazione del nuovo che avanza, la forza, la grinta
e il coraggio di raccontare tutto l’amore con una canzone con la voce di chi
non è lì sul palco di Sanremo per caso.
Il
festival come sempre è anche moda e non ho potuto non notare l’inconfondibile
Giusy Ferreri che, nella serata del duetto con Stefano Sarcina de Le
Vibrazioni, oppone un vistoso anello a forma di croce ai due anelli di Stefano
a forma di teschio.
Un
po’ troppo impacciate la
Rodriguez e la
Canalis così come in difficoltà Morandi davanti a Monica
Bellucci che mi ha ricordato “tanto
gentile e tanto onesta pare la donna mia quand'ella altrui saluta, ch'ogne lingua deven
tremando muta, e gli occhi no l'ardiscon di guardare” di dantesca memoria. Ma mentre Gianni ne sottolinea
la bellezza, ho molto apprezzato Monica che, quasi a ricordare la semplice ed
effimera vanità che è appunto la bellezza, risponde con l’amore per suo marito
e le sue due figlie.
Luca e Paolo sono stati
capaci di far ridere senza dover ricorrere alla volgarità e l’ospite Benigni ha
fatto capire quanto sia importante conoscere le proprie radici (e i 250.000 euro del compenso sono stati interamente devoluti ad un'ospedale di Firenze).
Dicevamo vince Vecchioni,
uno di quei cantautori della musica leggera italiana che dopo tanti anni è
ancora in grado di cantare con gli occhi chiusi, proprio a dimostrazione che
quando canta dice tutto ciò che sente.
“Chiamami ancora amore” è
il titolo, e la dedica non può che essere per colei che condivide da ben 30
anni gioie e dolori, le fatiche tra l’Università, la musica e la forza di
crescere un figlio disabile.
Finisce anche questo
Festival, vince Vecchioni ed è con le sue parole che voglio concludere
ricordando che le idee non vengono solo dalla testa ma soprattutto dal cuore e
se il cuore è pieno d’amore lo saranno anche le idee e saranno “come il sorriso di Dio in questo sputo di
universo”.
Tobia
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