domenica 15 aprile 2012

L'ADDIO A MOROSINI, L'ADDIO A CHI E' VOLATO PIU' IN ALTO


 MORIRE, FACENDO LA COSA PIU' BELLA DEL MONDO

“Ora Piermario li ha potuti riabbracciare in Paradiso: mamma, papà e fratello. Non sentirà più la loro devastante mancanza, e troverà altri Prati, molto più Verdi di quelli terreni, per continuare a correre e giocare. Lo so: con la ragione umana, sembreranno parole inutili, vuote, senza senso. Ma chi ha imparato a cercare il Senso della vita e della morte in un altro modo, volando più in alto del mistero di una tragedia ingiusta, a 25 anni, ha il diritto di immaginare tutto questo. Noi, che restiamo quaggiù, dobbiamo pensare alla sorella disabile, alla fidanzata, e a coloro che lui amava. Dobbiamo sostituirci a Piermario, per quanto possibile, con un aiuto concreto. E dobbiamo riflettere, senza litigare, affinché non muoia più nessuno, facendo la cosa più bella del mondo: inseguire un pallone.
Carlo Nesti


E’ con le parole del noto giornalista sportivo Carlo Nesti (che ringrazio per averci dato il permesso di pubblicare il suo pensiero), giornalista che non manca di mai di ricordare che è prima di tutto un credente, che voglio dare il saluto dal nostro blog a Piermario Morosini, il calciatore prematuramente scomparso ieri in seguito ad un attacco cardiaco; ma il pensiero deve andare soprattutto alla famiglia e con le parole di Nesti “a coloro che lui amava”, consapevole che, come Gesù ci ha ricordato, è andato in Cielo ad occupare il posto da Lui preparatogli, un posto che è importante non lasciare vuoto con le nostre scelte terrene spesso sbagliate e Piermario è stato capace di fare quelle giuste.
Un abbraccio va quindi ai suoi amati e nello stesso tempo a tutti coloro che hanno perso prematuramente i propri cari.
Tobia


2 commenti:

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  2. Vorrei condividere questa riflessione di Papa Benedetto XVI sulla morte (e sulla vita) che ha aiutato me nel dolore della perdita di mio padre, nella speranza che porti luce e conforto a tutti coloro che hanno perso i propri cari. "Ogni essere umano vuole vivere. Desidera una vita vera, piena, una vita che valga la pena, che sia una gioia. Con l’anelito alla vita è, al contempo, collegata la resistenza contro la morte, che tuttavia è ineluttabile. Quando Gesù parla della vita eterna, Egli intende la vita autentica, vera, che merita di essere vissuta. Non intende semplicemente la vita che viene dopo la morte. Egli intende il modo autentico della vita – una vita che è pienamente vita e per questo è sottratta alla morte, ma che può di fatto iniziare già in questo mondo, anzi, deve iniziare in esso: solo se impariamo già ora a vivere in modo autentico, se impariamo quella vita che la morte non può togliere, la promessa dell’eternità ha senso. Ma come si realizza questo? Che cosa è mai questa vita veramente eterna, alla quale la morte non può nuocere? La risposta di Gesù, l’abbiamo sentita: Questa è la vita vera, che conoscano te – Dio – e il tuo Inviato, Gesù Cristo. Con nostra sorpresa, lì ci viene detto che vita è conoscenza. Ciò significa anzitutto: vita è relazione. Nessuno ha la vita da se stesso e solamente per se stesso. Noi l’abbiamo dall’altro, nella relazione con l’altro. Se è una relazione nella verità e nell’amore, un dare e ricevere, essa dà pienezza alla vita, la rende bella. Ma proprio per questo, la distruzione della relazione ad opera della morte può essere particolarmente dolorosa, può mettere in questione la vita stessa. Solo la relazione con Colui, che è Egli stesso la Vita, può sostenere anche la mia vita al di là delle acque della morte, può condurmi vivo attraverso di esse. Già nella filosofia greca esisteva l’idea che l’uomo può trovare una vita eterna se si attacca a ciò che è indistruttibile – alla verità che è eterna. Dovrebbe, per così dire, riempirsi di verità per portare in sé la sostanza dell’eternità. Ma solo se la verità è Persona, essa può portarmi attraverso la notte della morte. Noi ci aggrappiamo a Dio – a Gesù Cristo, il Risorto. E siamo così portati da Colui che è la Vita stessa. In questa relazione noi viviamo anche attraversando la morte, perché non ci abbandona Colui che è la Vita stessa." (Tratto dall'omelia di Papa Benedetto XVI nella Santa Messa nella Cena del Signore, Giovedì Santo 1° aprile 2010)

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