venerdì 23 marzo 2012

V DOMENICA DI QUARESIMA – DOMENICA DI LAZZARO (rito ambrosiano)


MAI PERDERE LA SPERANZA (Gv 11, 1-53)
Ringraziamo don Marcello per averci fatto dono del commento al Vangelo di domenica prossima (rito ambrosiano).

“Se sei in fondo ad un letto di ospedale che fai? Chiami l’intellettuale alla moda? Cerchi un senso leggendo L’Espresso o Capital? O un libro di teologia che ti parla di rivoluzione politica?”. Sono le domande di un convertito, Vittorio Messori, che in modo provocatorio si rivolge a chi, di fronte alla morte, cerca la risposta là dove non c’è.
Marta e Maria cercano anche loro una risposta, ma da Gesù: “Signore, ecco, colui che ami è malato” (Gv 11,1-53). Ma Gesù ritarda e Lazzaro muore. Questa assenza è rimproverata da Marta: “Se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto”, e contestata dai Giudei: “Lui che ha aperto gli occhi al cieco, non poteva far sì che costui non morisse?”.
Il poeta David Maria Turoldo in una poesia commenta così: “E tu ti attardi ancora due giorni: indifferente perfino al dolore? Mai che combaciano i tempi di Dio col calendario dei nostri bisogni! Poi invece sopra la tomba a piangere; e intorno tutta la gente a dire: “Vedete come lo amava!”. Perchè non affrettarsi allora ad andare?”.
Di fronte alla morte dell’amico, Gesù “si commosse profondamente”: Questa traduzione è troppo debole. L’originale greco esprime un atteggiamento diverso: Gesù si arrabbiò. E’ la rabbia di fronte alla morte che gli ha portato via l’amico più caro. Anche Dio si arrabbia.
”Scoppiò in pianto”. E’ un pianto vero, un pianto fatto di lacrime, ma non rumoroso, da teatro. E’ un pianto di dolore, non di disperazione. Anche Dio piange.
“Lazzaro, vieni fuori!”. E’ un comando gridato, come chi deve svegliare qualcuno. E il morto uscì. Allora, chi è più forte: Gesù o la morte? Solo Dio vince la morte.
A noi che siamo nel dolore per la morte di una persona cara, questo Vangelo non ci dice di non arrabbiarci, di non piangere, ci dice di non perdere la speranza, perché c’è uno che garantisce di ridarci la vita fisica, come segno della vita eterna.
Ai passeggeri del Titanic (la nave che urtò un gigantesco iceberg durante la sua prima traversata dell’oceano) che lottavano tra i flutti ghiacciati contro la morte, con loro meraviglia giungeva dall’orchestra della nave che affondava la musica del canto: “Io credo in te, mio Dio, io credo in te”. Sono le stesse parole di Marta e Maria. Sono le parole di una fede premiata. Le facciamo nostre?

Don Marcello

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