lunedì 10 settembre 2012

BENEDETTO XVI - 14

L’Europa si trova in una crisi economica e finanziaria che, in ultima analisi, si fonda sulla crisi etica che minaccia il Vecchio Continenente. Da questa crisi emergono domande molto fondamentali: dove è la luce che possa illuminare la nostra conoscenza non soltanto di idee generali, ma di imperativi concreti? Dove è la forza che solleva in alto la nostra volontà? Sono domande alle quali il nostro annuncio del
 Vangelo, la nuova evangelizzazione, deve rispondere, affinchè il messaggio diventi avvenimento, l’annuncio diventi vita.
La grande tematica di quest’anno come anche degli anni futuri è in effetti: come annunciare oggi il Vangelo? In che modo la fede, quale forza viva e vitale, può oggi diventare realtà? Gli avvenimenti ecclesiali dell’anno che sta per concludersi sono stati, in definitiva, tutti riferiti a questo tema. Il nocciolo della crisi della Chiesa in Europa è la crisi della fede. Se ad essa non troviamo una risposta, se la fede non riprende la vitalità, diventando una profonda convinzione ed una forza reale grazie all’incontro con Gesù Cristo.
In questo senso, l’incontro in Africa con la gioiosa passione per la fede è stato un grande incoraggiamento. Lì non si percepiva alcun cenno di quella stanchezza della fede, tra noi così diffusa, niente di quel tedio dell’essere cristiani da noi sempre nuovamente percepibile. Con tutti i problemi, tutte le sofferenze e pene che certamente proprio in Africa vi sono, si sperimentava tuttavia sempre la gioia di essere cristiani, l’essere sostenuti dalla felicità interiore di conoscere Cristo e di appartenere alla sua Chiesa.
Da questa gioia nacono anche le energie per servire Cristo nelle situazioni opprimenti di sofferenza umana, per mettersi a sua disposizione, senza ripiegarsi sul proprio benessere. Incontrare questa fede pronta al sacrificio, e proprio in ciò gioiosa, è una grande medicina contro la stanchezza di essere cristiani che sperimentiamo in Europa.
Una medicina contro la stanchezza del credere è stata anche la magnifica esperienza della Giornata mondiale della gioventù a Madrid. E’ stata una nuova evangelizzazione vissuta. Sempre più chiaramente si delinea nelle Giornate mondiali della gioventù un modo nuovo, ringiovanito, dell’essere cristiani che vorrei tentare di caratterizzare in cinque punti.
C’è una prima cosa una nuova esperienza della cattolicità, dell’universalità della Chiesa. E’ questo che ha colpito in modo molto immediato i giovani e tutti i presenti: proveniamo da tutti i continenti, e, pur non essendoci mai visti prima ci conosciamo. Parliamo lingue diverse e abbiamo differenti abitudini di vita, differenti forme culturali, e tuttavia ci troviamo subito uniti insieme come una grande famiglia.
Da questo nasce poi un nuovo modo di vivere l’essere uomini, l’essere cristiani. Una delle esperienze più importanti di quei giorni è stata per me l’incontro con i volontari della Giornata mondiale della gioventù. Questi giovani erano visibilmente e <<tangibilmente>> colmi di una grande sensazione di felicità: il loro tempo donato aveva un senso; proprio nel donare il loro tempo e la loro forza lavorativa avevano trovato il tempo, la vita. E allora per me è diventata evidente una cosa fondamentale: quei giovani avevano offerto nella fede un pezzo di vita, non perchè questo era stato comandato e non perchè con questo ci si guadagna il cielo; neppure perchè così si sfugge al pericolo dell’inferno.
E quanto è grande la tentazione per tutti gli uomini di esere preoccupati innanzitutto di se stessi. Questi giovani hanno fatto del bene, semplicemente perchè fare il bene è bello, esserci per gli altri è bello. Una preghiera attribita a san Francesco Saverio dice: faccio il bene non perchè in cambio entrerò in cielo e neppure perchè altrimenti  mi potresti mandare all’inferno. Lo faccio, perchè Tu sei Tu, il mio Re e mio Signore. E’ questo l’atteggiamento propriamente cristiano.
         Infine, come ultima caratteristica da non trascurare nella spiritualità delle Giornate mondiali della gioventù vorrei menzionare la gioia. Da dove viene? Coma la si spiega? Sicuramente sono molti i fattori che agiscono insieme. Ma quello decisivo è, secondo il mio parere, la certezza proveniente dalla fede: io sono voluto. Ho un compito nella storia. Sono accettato, sono amato. Josef Pieper, nel suo libro sull’amore, ha mostrato che l’uomo può accettare se stesso solo se è accettatto da qualcun altro. Ha bisogno dell’esserci dell’altro che gli dice, non soltanto a parole: è bene che tu ci sia. Solo a partire da un “tu”, l’”io” può trovare se stesso. Solo se è accettato, i’”io” può accettare se stesso. Chi non è amato non può neppure amare se stesso. Questo essere accolto viene anzitutto dalla’altra persona. Ma ogni accoglienza umana è fragile. In fin dei conti abbiamo bisogno di un’accoglienza incondizionata. Solo se Dio mi accoglie e io ne divento sicuro: è bene che o ci sia.
Emmanuele.     
Fonte: Avvenire del 23 Dicembre  2011; Autore: Benedetto XVI.

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